giovedì,Aprile 25 2024

Il messaggio natalizio del vescovo Renzo: «La grotta di Betlemme scuola di spiritualità»

Il presule della diocesi di Mileto-Nicotera-Tropea invia la tradizionale lettera alla comunità ecclesiastica e citando papa Francesco afferma: «La Chiesa cresca nel silenzio e lontano dalla mondanità»

Il messaggio natalizio del vescovo Renzo: «La grotta di Betlemme scuola di spiritualità»

La grotta di Betlemme casa e scuola di spiritualità”. È questo il titolo del tradizionale messaggio natalizio indirizzato dal vescovo Luigi Renzo a sacerdoti, religiosi, religiose, diaconi e fedeli laici della diocesi di Mileto-Nicotera-Tropea. Nella lettera, il presule, dopo aver rimarcato l’importanza della mescolanza di Dio alla natura umana, quale mezzo «per elevare l’uomo all’altezza di Dio e aiutarlo con molta semplicità a cogliere il senso vero e profondo del mistero dell’Incarnazione del Figlio che celebriamo col Natale», ricorda che «ci siamo immessi nel secondo anno del nostro Sinodo Diocesano ed abbiamo iniziato ad interrogarci proprio sulla prerogativa irrinunciabile della nostra comunità ecclesiale di essere “casa e scuola di comunione”. Nostro compito – sottolinea – sarà di cercare l’uomo per amarlo nella concretezza della sua situazione seguendo l’esempio del nostro Divino Maestro. Gesù, infatti, “mescolandosi” con gli uomini e scegliendo la grotta di Betlemme come “casa del pane” e quindi di “condivisione”, viene a coinvolgersi ed a coinvolgerci in questo disegno grande di essere e di sentirci tutti una sola famiglia in grado di vivere e testimoniare con la nostra carne la stessa comunione che esiste nella SS.ma Trinità. È un compito abbastanza serio e gravoso, ma proprio per questo appassionante». A questo punto monsignor Renzo, rifacendosi a San Gregorio di Nissa, si chiede «cosa sta a significare per il Signore il ricovero in una grotta, il giacere in una mangiatoia, il suo mescolarsi alla vita degli uomini se non che trasferendo su di sé le nostre debolezze noi ne fossimo guariti?». Da qui la considerazione che la grotta «buia e sotterranea» dove viene a risplendere la luce di Dio, richiama in realtà «la vita buia e sotterranea degli uomini, su cui il Bambino è venuto ad irrorare la luce del suo amore e della sua misericordia senza limiti. Dove arriva quella luce – sottolinea – arriva la pace e la gioia, il buio delle tenebre si dissolve ed il “mondo nuovo” sorge all’orizzonte. A questo “mondo nuovo” ed alla forza vitale che sgorga dal Bambino della grotta di Betlemme, dobbiamo guardare ed attingere con fiducia, se davvero vogliamo celebrare il Natale e cambiare in qualche modo il registro del nostro mondo e delle nostre relazioni interpersonali, accompagnandoci al cammino dei pastori, che, se inizialmente si accostano alla mangiatoia piuttosto curiosi e distaccati, dopo se ne ritornano ai loro greggi trasfigurati, caricati e rinnovati nello spirito». 

Nel suo messaggio il presule si rifà anche a papa Francesco e ricorda, quindi, l’esigenza della Chiesa di crescere «nella semplicità, nel silenzio, nella lode, nel sacrificio eucaristico, nella comunità fraterna, dove tutti si amano e non si spellano, lontano da “eventi spettacolo” e dalla “mondanità”. Nell’esternare a voi questi sentimenti – prosegue il vescovo – auspico e mi auguro che alla fine del Sinodo il sogno si trasformi in realtà, come, credo, sia nelle attese del Signore e nel desiderio e nel cuore di ciascuno. Ciò, comunque, si realizza solo con l’impegno corale di tutti. Sinodo è camminare insieme! Occorre, cioè, convertirci tutti e fare in modo che “la Chiesa che stiamo sognando”, sia quella che fin d’ora abbiamo iniziato a costruire, lasciandoci guidare dallo Spirito del Signore e superando tutte le resistenze che potremo incontrare dentro ed intorno a noi. Come i pastori profondamente rinnovati dall’incontro con Gesù nella grotta, anche noi – conclude – penetrati da quella stessa luce e dalla forza della grazia, continuiamo a puntare su una Chiesa “casa e scuola di comunione”, mettendoci alle spalle “le cose di prima” che “ormai sono passate” e non ci devono appartenere più». 

 

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