giovedì,Aprile 18 2024

Processo “Purgatorio”: il Tribunale di Vibo e alcune delle accuse cadute per l’avvocato Galati

I giudici nelle motivazioni della sentenza definiscono quasi tutti gli episodi contestati come privi di rilevanza penale o comunque accaduti nell'ambito del mandato difensivo

Processo “Purgatorio”: il Tribunale di Vibo e alcune delle accuse cadute per l’avvocato Galati

Sono oltre venti gli episodi contestati all’avvocato Antonio Galati dalla Dda di Catanzaro che non hanno retto al vaglio del Tribunale collegiale di Vibo Valentia presieduto dal giudice Alberto Filardo. Il deposito delle motivazioni della sentenza (per quanto di sole 42 pagine) permette di capire il percorso logico-giuridico seguito dal Collegio per smontare gran parte delle accuse mosse dalla Dda (l’operazione del febbraio 2014 porta la firma dell’allora procuratore antimafia di Catanzaro Giuseppe Borrelli e del pm Simona Rossi) con il supporto dei carabinieri del Ros e della Squadra Mobile di Catanzaro. Ecco la ricostruzione fatta dai giudici di alcuni fra i principali episodi contestati per i quali il Tribunale non ha rravvisato alcuna responsabilità penale. Si inizia dalla vicenda del “Credito degli eredi Braghò”. All’imputato Antonio Galati si contestava di aver concorso al recupero di alcune somme, “presumibilmente versate da Mancuso Pantaleone cl. ’47 ai Braghò a titolo di occulta partecipazione all’attività economica o di provenienza estorsiva. Le somme risultano riportate in alcuni assegni rilasciati da Torre Domenica, moglie di Mancuso, a favore di Braghò Domenico e l’operazione economica trova riscontro in alcune conversazioni intercettate nel corso delle quali l’avvocato Galati parla di credito con i Braghò e Mancuso Pantaleone, cl. ’47, esprime in toni violenti la volontà di recuperare le somme”. Per il Tribunale, tale ipotesi “si è rivelata priva di fondamento”. Per i giudici “non vi è prova della provenienza illecita delle somme indicate, mentre è documentalmente dimostrato che la signora Torre Domenica nel 2000 aveva versato 100mila euro mediante dieci assegni intestati a Braghò Domenico. I titoli, inizialmente sequestrati dalla Guardia di finanza di Milano nel corso dell’operazione Minotauro, erano stati successivamente dissequestrati e restituiti al beneficiario per essere poi negoziati”. Secondo il Tribunale, l’intervento dell’avvocato Antonio Galati nell’attività di recupero del credito “è giustificata dal mandato difensivo rilasciato dalla signora Torre nel 2009 ed è evidenziato dalla raccomandata con ricevuta di ritorno con cui il 20 luglio 2009 il professionista chiedeva la restituzione del prestito ai Braghò, con l’avvocato incaricato Galati che ha utilizzato lo strumento della cessione del credito, facendo subentrare – evidenzia il Tribunale – la creditrice nei confronti dell’imprenditore Caffo con un’operazione giuridica, di per sé, non censurabile”. Il presidente Alberto Filardo passa poi ad esaminare la circostanza laddove il pm nel corso del processo “ha menzionato il coinvolgimento dell’imputato Galati nel processo derivante dall’operazione Do ut Des e l’astio dimostrato nei confronti del vice questore Rodolfo Ruperti”.       Il Tribunale ricorda che l’avvocato Galati dal processo nato dall’operazione “Do ut des” celebrato a Salerno (caso Pasquin) è stato “assolto dalle accuse e, per quanto interessa questo Tribunale, l’eventuale astio nutrito nei confronti del dott. Ruperti non ha alcuna rilevanza penale”. Per quanto riguarda, invece, i contatti con il dottore Nicola Bosco, amministratore giudiziario dei beni del boss Antonio Mancuso e della moglie Maria Cicerone, ad avviso del Tribunale “l’intervento dell’avvocato Galati è giustificato dal mandato difensivo dei soggetti titolari dei beni sottoposti a sequestro. Il contatto con il dott. Bosco appare determinato dalla necessità di abbreviare i tempi di definizione di un’istanza di dissequestro di una Fiat Panda e non a favorire illecitamente taluno. Peraltro – sottolinea ancora il Collegio – l’informazione carpita dall’avvocato Galati circa il parere favorevole del custode in merito al dissequestro non viola alcun segreto e la sua diffusione è riportata in un’intercettazione successiva, non solo alla formulazione del parere, ma al deposito del provvedimento di dissequestro”.                                     Altra vicenda riguarda invece la morte di Tita Buccafusca, moglie del boss Pantaleone Mancuso (alias “Scarpuni”) deceduta dopo aver ingerito acido muriatico. Il 14 marzo del 2011 Tita Buccafusca si era presentata dai carabinieri di Nicotera chiedendo di essere allontanata dalla propria famiglia. “Condotta al comando provinciale di Catanzaro – scrive il Tribunale – vi rimane fino al giorno successivo per poi fare ritorno a casa. Il 16 aprile 2011 la Buccafusca ingerisce dell’acido e due giorni dopo muore. Nell’occasione l’avvocato Galati accompagna i dirigenti della polizia, Lento e Rodonò ed il vice commissario Carmelo Pronestì a Nicotera Marina per consentire la notifica del provvedimento che disponeva l’autopsia della vittima ai familiari della stessa”. All’avvocato Galati veniva contestato di “essere a conoscenza del numero esatto dei giorni di permanenza della defunta Buccafusca dai carabinieri e del fatto che la Buccafusca non avesse riferito alcunchè di compromettente per i Mancuso, avendo appreso tali notizie illecitamente”. Per il Tribunale, “in occasione delle notifiche per l’autopsia, l’avvocato Galati è intervenuto su delega dell’avvocato Contestabile, difensore di Mancuso Pantaleone (Scarpuni), esercitando un’attività giustificata dal mandato difensivo del delegante. E’ agevole osservare – scrivono i giudici – che la notizia in ordine al periodo trascorso nella caserma dei carabinieri e sul contenuto delle dichiarazioni rese dalla Buccafusca, era certamente nota alla famiglia Mancuso che aveva ospitato la donna per tutto il periodo dal 14 marzo al 16 aprile del 2011 e che, pertanto, aveva appresa dalla stessa cosa fosse accaduto”. Anche l’espressione che l’avvocato Galati avrebbe usato nelle intercettazioni “Ha lasciato quell’anima pia”, riferito alla notizia del decesso della Buccafusca e con riferimento al figlioletto della stessa, o secondo la versione del pubblico ministero “Ha impestato quell’anima pia”, per i giudici “rimane priva di qualsiasi rilievo penale”.   LEGGI ANCHE:   Processo “Purgatorio”, le motivazioni della sentenza su Lento, Rodonò e Galati  

 

 

 

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