venerdì,Marzo 29 2024

Omicidio Cricrì nel Vibonese, condanna in Cassazione per l’amante

La Suprema Corte conferma invece l’assoluzione per un secondo imputato. Si tratta di uno dei fatti di sangue più cruenti degli ultimi anni. La vittima si era candidata a sindaco di Dinami

Omicidio Cricrì nel Vibonese, condanna in Cassazione per l’amante
In alto Giuseppe Cricri, in basso Liberata Gallage, Fiore D’Elia e Alfonsino Ciancio

La prima sezione penale della Cassazione ha confermato la sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro per l’omicidio e l’occultamento del cadavere di Giuseppe Cricrì, ex candidato a sindaco del Comune di Dinami nelle amministrative del maggio 2013 e ritrovato carbonizzato nella sua auto il 22 ottobre 2013. Si tratta uno dei fatti di sangue più cruenti degli ultimi anni. Nei confronti di Liberata Gallace, 57 anni, di Gerocarne, residente a Piani di Acquaro (avvocato Cristian Scaramozzino) i giudici hanno confermato la condanna a 20 anni di reclusione, mentre in primo grado erano stati inflitti 24 anni di carcere. Nei suoi confronti è caduta in appello l’aggravante della premeditazione nel fatto di sangue. Assolto per non aver commesso il fatto Fiore D’Elia, 69 anni, pure lui di Gerocarne (difeso dagli avvocati Giovanna Fronte e Salvatore Staiano), che in primo grado era stato condannato a 22 anni di reclusione. Era stata la Procura generale di Catanzaro ad appellare il verdetto assolutorio per Fiore D’Elia. [Continua in basso]

Giuseppe Damiano Cricrì, 48enne di Melicuccà di Dinami, è stato ucciso e bruciato all’interno della sua auto nelle campagne di Acquaro. La vittima avrebbe avuto una relazione sentimentale con Liberata Gallace, a sua volta separata ma che continuava a vivere col suo ex marito nella stessa casa insieme ai loro tre figli. La donna non avrebbe accettato la fine della relazione con Cricrì per via di una donna romena. Secondo la tesi accusatoria, la vittima nel corso dell’incontro con Liberata Gallace era stata colpita al volto con un oggetto contundente (come acclarato dagli accertamenti medico-legali) così violentemente e ripetutamente da causargli la morte. Successivamente, la donna con l’ausilio di suo figlio, Alfonsino Ciancio, nonché di Fiore D’Elia (ma per quest’ultimo l’accusa non ha retto), avrebbe collocato il cadavere di Cricrì all’interno dell’autovettura della stessa vittima, sui sedili posteriori, trasportandolo in una stradina di campagna che si dirama dalla provinciale sino a Limpidi di Acquaro, località Petrignano dove, con della benzina, è stato dato fuoco a Cricrì e al veicolo che l’indomani sono stati rinvenuti carbonizzati. I familiari della vittima erano assistiti dall’avvocato Giovanni Vecchio.

Alfonsino Ciancio, 33 anni, di Acquaro al termine del processo con rito abbreviato è stato invece condannato in via definitiva a 14 anni di reclusione, con l’esclusione anche per lui della premeditazione nel fatto di sangue e la concessione delle attenuanti generiche.

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