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‘Ndrangheta: “Dinasty”, dura condanna per Domenico Mancuso

A distanza di 16 anni dalla storica inchiesta contro il clan di Limbadi arriva la sentenza del Tribunale di Vibo

‘Ndrangheta: “Dinasty”, dura condanna per Domenico Mancuso

E’ arrivata a distanza di 16 anni dall’operazione “Dinasty” la sentenza di primo grado nei confronti di Domenico Mancuso, 44 anni, di Limbadi, detto “Micu ‘Ninja”, fra i principali protagonisti dell’inchiesta scattata nell’ottobre del 2003. Il Tribunale collegiale di Vibo Valentia, presieduto da Giulio De Gregorio (a latere i giudici Marina Russo e Brigida Cavasino), ha condannato l’imputato a 21 anni e 6 mesi di reclusione e 6.700 euro di multa, ritenendolo colpevole di ben 23 capi d’imputazione. Domenico Mancuso è stato anche interdetto in perpetuo dai pubblici uffici e legalmente durante la pena. Condannato poi al pagamento delle spese processuali ed a pena scontata dovrà essere sottoposto a sorveglianza speciale per un periodo di tre anni. Assoluzione, invece, da tre capi di imputazione (concorso in estorsione) e non doversi procedere per il reato di percosse per mancanza di querela della parte offesa. Con la sentenza è stata anche ordinata la confisca della società “Pianeta Rosso srl”. [Continua dopo la pubblicità]

Il dibattimento che è terminato oggi pomeriggio in primo grado con la sentenza di condanna è stato più volte interrotto nel corso degli anni. La ripresa del processo è stata resa possibile grazie al deposito di una perizia del professore Giulio Di Mizio, medico legale e perito del Tribunale, che aveva riscontrato nell’imputato un deficit cognitivo di grado lieve non incidente sulla capacità di stare in giudizio. Domenico Mancusofiglio del boss della ‘ndrangheta Giuseppe Mancuso (cl. 49), detto “’Mbrogghja”, che sta scontando 30 anni di reclusione quale mandante di diversi fatti di sangue – viene indicato dalla Dda di Catanzaro, sulla scorta delle indagini svolte all’epoca dalla Squadra Mobile di Vibo guidata da Rodolfo Ruperti e Fabio Zampaglione, come esponente di spicco dell’articolazione mafiosa della “famiglia” Mancuso che fa capo al padre Giuseppe Mancuso ed allo zio Diego Mancuso.

Domenico Mancuso

Associazione mafiosa, estorsione ed usura aggravate dal metodo mafioso, danneggiamento seguito da incendio, favoreggiamento personale e detenzione illegale di armi, i reati per i quali Domenico Mancuso, difeso dall’avvocato Giuseppe Milicia, è stato ritenuto colpevole.

In particolare, l’imputato è stato ritenuto responsabile di estorsione aggravata dal metodo mafioso ai danni dell’imprenditore Domenico Cricelli di Tropea (poi divenuto collaboratore di giustizia) e di altri imprenditori di Ricadi e Tropea, tutti costretti a pagare somme di danaro in ragione degli utili ricavati dalle attività economiche e per conseguire la tranquillità nella prosecuzione delle stesse. Un’estorsione ai danni di Cricelli (per la quale Domenico Mancuso è stato condannato) riguardava la cessione del ristorante “Porta Vaticana” a Tropea ad un prezzo ritenuto incongruo dalla Dda ed ora anche dal Tribunale.

Diego Mancuso

Nella commissione di tali reati, Domenico Mancuso avrebbe agito in concorso con Domenico Scardamaglia di Limbadi e con lo zio Diego Mancuso. Condanna anche per l’estorsione ai danni di alcuni autotrasportatori, quindi ai danni di due villaggi turistici di Nicotera e di un imprenditore di Ricadi in concorso con Diego Mancuso, Francesco Mancuso (alias “Tabacco), e il boss Antonio Mancuso (cl. ’38).

Agostino Papaianni

Domenico Mancuso è stato poi condannato per il danneggiamento seguito da incendio, aggravato dalle modalità e finalità mafiose, di alcuni materiali combustibili posizionati nei locali della ditta Smecal di Agostino Papaianni, quest’ultimo ritenuto dalla Dda inserito all’epoca nel gruppo rivale capeggiato da Cosmo Michele Mancuso. Tale reato era contestato a Domenico Mancuso in concorso con lo zio Diego Mancuso ed i prozii Antonio Mancuso (cl. ’38) e Pantaleone Mancuso (cl. ’47, detto “Vetrinetta”). La contestazione risale ad episodi collocati in un arco temporale ricompreso fra il 2002 ed il gennaio 2003 quando per intimidire Agostino Papaianni (schierato secondo l’accusa con il clan guidato da Cosmo Michele Mancuso) vennero presi di mira i locali impiegati per il commercio all’ingrosso di prodotti alimentari a Ricadi e quelli del distributore di carburante (località San Francischiello a Tropea).

Pantaleone Mancuso

Domenico Mancuso è stato poi condannato per l’incendio ai danni di un fabbricato rurale all’interno dell’azienda agricola del boss Pantaleone Mancuso, alias “Vetrinetta”. Ad avviso di Diego Mancuso e Domenico Mancuso, il congiunto Pantaleone Mancuso (deceduto poi in carcere a Tolmezzo il 4 ottobre 2015) era sospettato di collaborare all’epoca con le forze dell’ordine e da qui l’incendio allo scopo di intimidirlo.

Domenico Mancuso è stato infine condannato per tre episodi di usura aggravata dalle modalità mafiose, per la detenzione illegale di un fucile, e per il reato di favoreggiamento personale, aggravato dalle finalità mafiose, poiché dopo la rapina ai danni di un’armeria di Ricadi – commessa il 25 gennaio 2003 – avrebbe offerto ospitalità per due giorni a due dei tre rapinatori di Rosarno ricercati dalle forze dell’ordine, reclutando dei medici disposti a soccorrere e prestare assistenza e cure mediche ad uno dei due malviventi, ferito dalla vittima nel corso della rapina. Domenico Mancuso è attualmente in stato di libertà, mentre i suoi coimputati hanno già scontato le condanne – divenute definitive – nate dal processo “Dinasty”.

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