I clan e i lavori per il complesso parrocchiale di Pizzo nella sentenza della Cassazione
Dalle motivazioni del troncone in abbreviato dell’operazione Petrol Mafie emergono gli accordi tra i clan Anello, Mancuso e Bonavota per le opere di sbancamento e la fornitura di cemento
Depositate dalla seconda sezione penale della Cassazione le motivazioni della sentenza del processo con rito abbreviato relativo all’operazione Petrol Mafie, scattata l’8 aprile 2021 con il coordinamento della Dda di Catanzaro. Un procedimento all’esito del quale si sono registrate quattro condanne definitive nei confronti di altrettanti imputati del Vibonese: Pasquale Gallone, 64 anni, di Nicotera, condannato a 6 anni; Giuseppe Barbieri, di 51 anni, di Sant’Onofrio, condannato a 6 anni; Daniele Prestanicola, di 42 anni, di Maierato, condannato a 6 anni; Francescantonio Anello, di 35 anni, di Filadelfia, condannato a 6 anni. Tali imputati sono stati anche condannati alla rifusione delle spese di difesa sostenute in giudizio dalle parti civili rappresentate dai Comuni di Vibo Valentia, Sant’Onofrio, Limbadi, dalla Provincia di Vibo, dall’Associazione antiracket della Provincia di Vibo e dalla Cooper Poro.
La costruzione del centro parrocchiale di Pizzo
La sentenza si sofferma in particolare sui lavori di realizzazione del Complesso Parrocchiale di Pizzo “Risurrezione di Gesù” – commissionato dalla Diocesi di Mileto-Nicotera-Tropea, per un importo complessivo di 4.579.654,22 euro. Dall’inchiesta emerge l’attività di condizionamento di Mario Stefano Pata – direttore del cantiere della Cooper PoRo Edile – da parte dei clan in occasione dell’assegnazione di lavori per la realizzazione del nuovo centro parrocchiale di Pizzo. Dominus assoluto rispetto all’aggiudicazione dei lavori sarebbe stato il boss Luigi Mancuso di Limbadi – ritenuto il vertice dell’intera ‘ndrangheta del Vibonese – il quale avrebbe stabilito la ripartizione degli appalti. Gallone, Anello, Barbieri e Prestanicola avrebbero invece posto in essere atti estorsivi volti al controllo o comunque al condizionamento dell’assegnazione e dell’esecuzione in subappalto dei lavori di costruzione del nuovo complesso parrocchiale, stringendo un accordo collusivo mirante alla imposizione esterna della scelta delle ditte destinate ad eseguire di fatto i lavori ed i servizi occorrenti, nonché dei prezzi e delle condizioni di lavoro. E’ rimasto così accertato che “dalle copiose attività di intercettazione Giuseppe D’Amico, personaggio della cosca Mancuso ed operante anche con funzioni di raccordo tra Luigi Mancuso, Pasquale Gallone ed altre cosche (Bonavota, Anello e Fiarè) condizionava, in funzione della volontà espressa della famiglia Mancuso, anche l’attività di altri imprenditori espressione di altre consorterie criminali. Nel caso in esame erano interessati a spartirsi i lavori: Giuseppe Ruccella, imprenditore edile titolare della Prev Calcestruzzi, interessato alla gettata del calcestruzzo, sponsorizzato da Giuseppe Barbieri (rappresentante della cosca di Sant’Onofrio di cui è risultato partecipe nell’ambito di altra indagine), il quale è emerso essersi recato numerose volte a Maierato presso i locali della azienda Dr Service ed interloquire sul punto con in fratelli D’Amico; – Daniele Prestanicola, dipendente e socio dell’impresa di calcestruzzi Prestanicola Srl, interessato pure lui alla fornitura del calcestruzzo, sponsorizzato da Francescantonio Anello, figlio del boss Rocco Anello; – Giuseppe D’Amico, interessato all’esecuzione dei lavori di sbancamento e smaltimento della terra rimossa, sponsorizzato dalla cosca Mancuso. Dalla fine di gennaio 2019 gli inquirenti registravano una serie di incontri tra i fratelli D’Amico, Giuseppe Barbieri e Giuseppe Ruccella finalizzati a definire l’assetto dei contrastanti interessi relativi alla gestione del cantiere de quo. Nel contempo proseguivano anche i contatti tra i rappresentati della ditta Prestanicola ed i D’Amico”.
La spartizione dei lavori
E’ rimasto altresì accertato che “parallelamente anche Francescantonio Anello, esponente della omonima cosca di Filadelfia”, si sarebbe rivolto direttamente a Pata facendogli pressione affinché la fornitura del calcestruzzo fosse affidata alla ditta del Prestanicola. Nelle attività finalizzate a trovare un accordo tra le cosche – ricorda la Cassazione – entrava poi, in gioco anche Pasquale Gallone che veniva incaricato di veicolare la volontà di Luigi Mancuso, il quale interloquiva con Giuseppe D’Amico per la risoluzione delle problematiche da affrontare con la cosca Anello e con la persona offesa Stefano Pata, dipendente della Cooper PoRo. Edile, al quale venivano imposte le decisioni del Mancuso”. Una volta deliberato l’accordo relativo alla spartizione dei lavori erano state quindi operate le pressioni sul geometra Mario Stefano Pata, il quale era stato “incaricato di mantenere i rapporti con le ditte affidatarie e di individuare le imprese alle quali rivolgersi per l’acquisto dei materiali, affinché si servisse anche delle ditte Prestanicola e Ruccella. Il Pata, intimorito malgrado l’assenza di qualsivoglia espressa minaccia – ha sottolineato la Cassazione – (”ho subito temuto per la mia incolumità personale e familiare e per quella dell’impresa”), aveva acconsentito alle richieste di Pasquale Gallone chiedendo però che le ditte segnalate fossero in possesso di iscrizione alla “white list” e che i prezzi proposti fossero concorrenziali. Era stato l’unico incontro con Pasquale Gallone in quanto, su indicazione di quest’ultimo, le successive interlocuzioni erano state intrattenute solo con Giuseppe D’Amico di Piscopio, “che aveva di poi agito in nome e per conto del Gallone, che lo sponsorizzava, per la conclusione dei contratti”.
Per effetto dei “paletti” che aveva posto, il Pata era tuttavia “riuscito ad essere sollevato dall’imbarazzo della scelta tra i due offerenti per la fornitura del cemento in quanto la ditta Ruccella era priva di iscrizione alla “white list” e, come tale, era stata esclusa dall’assegnazione di lavori, anche se il dichiarante – ha ricordato la Cassazione – precisava di non sapere se le due ditte si fossero poi accordate ugualmente tra di loro per una fornitura condivisa, comunque rimasta ignota alla ditta appaltatrice. Peraltro, la ditta Prestanicola, prima dell’incontro con Pasquale Gallone, era stata sponsorizzata al Pata dal direttore dei lavori e rup del committente Tedesco Francescantonio – legato da rapporti di frequentazione con Daniele Prestanicola – non solo per la fornitura del calcestruzzo, ma anche per i lavori di sbancamento, poiché tale scelta avrebbe garantito la protezione del cantiere da atti intimidatori: a tali pressioni il Pata aveva ribattuto che non spettava al Tedesco la selezione dei fornitori”. Dalla stampa il Pata aveva di poi appreso che l’ex consigliere comunale di Vibo, l’architetto Franco Tedesco, era stato successivamente attinto da provvedimento cautelare nell’ambito di altro procedimento penale (operazione Imponimento, dal quale è stato assolto in primo grado) poiché ritenuto “vicino” alla famiglia di ‘ndrangheta degli Anello di Filadelfia. Lo stesso Tedesco che – processato con rito ordinario per l’operazione Petrolmafie, è stato invece condannato in primo grado a 10 anni per concorso in estorsione aggravata dal metodo mafioso proprio in relazione ai lavori per la costruzione del centro parrocchiale di Pizzo. “In costanza di valutazione delle offerte, presso il cantiere di Pizzo – ricoda infine la Cassazione in sentenza – si erano poi ripetutamente recati tanto il Ruccella che i Prestanicola (Domenico e Daniele) a perorare l’assegnazione dei lavori. Al primo il Pata aveva obiettato la mancanza di iscrizione nella white list, al secondo l’eccessività dei prezzi proposti. Lo stesso Pata spiegava, infine, gli artifici adottati per consentire alla ditta del D’Amico di gonfiare le forniture sì da locupletare sul prezzo e compensare l’offerta al ribasso praticata”.
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