Omicidio Cricri nel Vibonese, ecco i motivi della condanna di Ciancio

Sono state depositate dalla prima sezione penale della Cassazione le motivazioni della sentenza con la quale nel novembre scorso Alfonsino Ciancio, 31 anni, di Acquaro, ritenuto responsabile di concorso nell’omicidio di Giuseppe Cricri, ex candidato a sindaco del Comune di Dinami nelle amministrative del maggio 2013 e ritrovato carbonizzato nella sua auto il 22 ottobre 2013. Sitratta di uno dei fatti di sangue più cruenti avvenuti negli ultimi anni nel Vibonese, sia per le modalità che per i tentativi di depistare le indagini. Alfonsino Ciancio dovrà scontare 14 anni di reclusione così come era stato deciso il 28 novembre 2018 dalla Corte d’Appello di Catanzaro che aveva escluso l’aggravante della premeditazione nel fatto di sangue e concesso le attenuanti generiche. In primo grado, al termine del processo con rito abbreviato, Alfonsino Ciancio era stato condannato a 30 anni di reclusione.  [Continua dopo la pubblicità]

La Cassazione nelle motivazioni della sentenza ricostruisce ogni passaggio del fatto di sangue che ha scosso l’intera provincia di Vibo e non solo.

Nella giornata del 22 ottobre 2013 Domenico Cricrì denunciava la scomparsa del figlio Giuseppe il quale, allontanatosi da casa la sera precedente verso le ore 21.15 a bordo di una Fiat Panda, non era più rientrato. L’auto veniva rinvenuta in località Petrignano di Acquaro completamente bruciata, con all’interno il cadavere di Giuseppe Cricrì. Agli accertamenti medico legali risultava che il decesso era avvenuto per traumatismo facciale, compatibile con l’azione di un mezzo contundente. La morte veniva cronologicamente collocata tra le ore 21.30 e 22.30 della serata del 21 ottobre 2013.

Gli accertamenti sui telefoni. I primi accertamenti sull’utenza telefonica di Cricrì consentivano di accertare che vi era stato, tra le 21.04 e le 21.23, uno scambio di messaggi con una donna straniera, la quale aveva affermato di essere sentimentalmente legata alla vittima e che alle ore 21.33 la vittima aveva ricevuto una chiamata dalla signora Liberata Gallace, la quale aveva sostenuto di aver avuto con Giuseppe Cricrì una relazione affettiva, durata pochi mesi, dal marzo al settembre di quell’anno. La signora Gallace, assunta come persona informata sui fatti, aveva aggiunto che nella serata del 21 ottobre 2013 aveva avuto appuntamento con Cricrì Giuseppe in un luogo, denominato “Il boschetto”, sito in contrada Maglia della frazione Limpidi di Acquaro, e di averlo sentito telefonicamente verso le 21.30 concordando l’appuntamento per le ore 22.00, previo “squillo” dell’uomo.

Giuseppe Cricri

La Gallace aveva poi raccontato che, non avendo ricevuto alcun segnale da Cricrì, lo aveva chiamato senza esito. La località “Il boschetto” si trova a meno di due chilometri dal luogo dove era stata incendiata la Fiat Panda con il cadavere della vittima. I familiari della Gallace confermavano di essere tutti rimasti a casa quella sera. Le prime verifiche consentivano di accertare, tramite alcune testimonianze e l’esame dei messaggi, che, in realtà, la rottura del legame con la Gallace era stata una iniziativa del Cricrì, subita dalla donna.

La localizzazione degli indagati. Con le prime indagini si procedeva all’acquisizione dei dati sul traffico telefonico e alla conseguente localizzazione degli utenti. Emergeva che Gallace Liberata e il figlio Ciancio Alfonsino avevano avuto diversi contatti fra le ore 20.30 e le ore 23 “agganciando” diverse celle telefoniche, dato incompatibile con l’affermazione secondo la quale entrambi erano rimasti a casa. Gli inquirenti provvedevano a individuare le celle telefoniche, rispettivamente, serventi l’abitazione di Liberata Gallace – sita in contrada Pardelusa in frazione Piani di Acquaro – e l’abitazione di Fiore d’Elia, persona risultata essere stata in contatto telefonico con la Gallace. Risultava quindi che: Liberata Gallace si era trovata in zona prossima al boschetto alle ore 20.44, quando chiama il figlio Alfonsino, alle 20.59 quando chiama D’Elia, alle 21.01 e 21.33 quando chiama Cricrì Giuseppe, e alle 21.58, quando chiama ancora Fiore D’Elia; Cricrì Giuseppe si era trovato nei pressi del boschetto alle 21.33, quando parla con la Gallace, e alle 22.03, quando riceve messaggio dalla donna straniera; D’Elia alle 20.59, quando riceve chiamata dalla Gallace, si trova nei pressi dell’abitazione della donna mentre alle 21.58, quando riceve altra chiamata della Gallace, si trova nei pressi del boschetto; Ciancio Alfonsino si trova nei pressi del boschetto alle ore 22.10, quando riceve tre messaggi che gli erano stati inviati alle ore 21.20, 21.24 e 22.00, dato significativo del fatto che l’utenza era stata spenta dalle 21.20.

Gallace Liberata risultava poi dirigersi verso la propria abitazione dalle ore 22.11, mentre Ciancio Alfonsino rimaneva nei pressi del boschetto sino alle ore 22.35 e Fiore D’Elia si trovava presso la propria abitazione solo alle 23.18. Veniva accertato che Gallace Liberata aveva in uso due utenze telefoniche, una indicata anche agli inquirenti ed altra taciuta, ma annotata nella rubrica del cellulare di Cricrì Giuseppe con l’identificativo Libe2. Venivano attivate intercettazioni ambientali nell’auto della famiglia Ciancio e nella sala d’aspetto della locale stazione carabinieri.

Il giudice di primo grado giungeva quindi ad accertare che la sera del 21 ottobre 2013 Gallace Liberata e Cricrì Giuseppe si fossero effettivamente incontrati al boschetto dopo le ore 21.35, e nei minuti successivi fosse stato compiuto l’omicidio con l’intervento anche di Ciancio Alfonsino e di Fiore D’Elia. I dati oggettivi concernenti la localizzazione degli imputati nel corso di quella serata e l’esistenza, in capo a Gallace Liberata, di un forte motivo di rancore verso la vittima, per la interruzione della relazione sentimentale, letti unicamente alle dichiarazioni mendaci rilasciate agli inquirenti nell’immediatezza del fatto, ai tentativi di sviare le indagini,costituiscono un complesso indiziario comprovante il fatto che l’omicidio era stato commesso nel corso dell’incontro.

La posizione di Ciancio. Pure lui, secondo i giudici, è stato localizzato nei pressi del boschetto almeno alle ore 22.11, mentre in precedenza, e dalle ore 21.20, aveva tenuto spento il cellulare: “questi dati oggettivi, letti unitamente al mendacio iniziale circa le sue attività in quella serata e al collegamento con la madre, giustificano l’affermazione di colpevolezza – scrivono i giudici in ordine ai reati ascritti”.

Le attenuanti in secondo grado. La Corte d’Assise d’Appello ha condiviso l’accertamento del fatto compiuto dal primo giudice, osservando che Alfonsino Ciancio nel corso dell’esecuzione dell’omicidio aveva tenuto un atteggiamento passivo e che aveva espresso adesione al fatto collaborando nella distruzione del cadavere. Il secondo giudice ha però escluso l’aggravante della premeditazione, rilevando che era sostenibile l’alternativa ipotesi secondo la quale Alfonsino Ciancio si era trovato in una situazione improvvisa. Venivano riconosciute le attenuanti generiche per la giovane età, l’incensuratezza e la posizione succube verso la madre.

Tale ricostruzione è stata ritenuta corretta anche dalla Corte di Cassazione che ha ritenuto inammissibile il ricorso di Alfonsino Ciancio. Gli altri coimputati Liberata Gallace, 54 anni, madre di Alfonsino Ciancio, e Fiore D’Elia, 66 anni di Gerocarne, l’11 giugno scorso sono stati condannati dalla Corte d’Assise di Catanzaro rispettivamente a 24 e 22 anni di reclusione. Il processo di secondo grado deve ancora essere fissato.

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