giovedì,Aprile 18 2024

Il suicidio del giudice D’Amico in Tv, la moglie accusa: «Dignità calpestata»

La famiglia del magistrato sconvolta dalle immagini mandate in onda dalla trasmissione Le Iene. Il ricordo dell’ex governatore Chiaravalloti: «Grande uomo stritolato dalla vita»

Il suicidio del giudice D’Amico in Tv, la moglie accusa: «Dignità calpestata»

Le immagini del giudice vibonese Pietro D’Amico, che nel 2013, a 62 anni, recita con voce flebile le sue ultime preghiere mentre un farmaco iniettato per via endovenosa lentamente lo uccide, non sono inedite. Eppure il servizio mandato in onda dalla trasmissione “Le Iene” la scorsa settimana ha fortemente scosso non soltanto chi personalmente conosceva e amava questo stimato magistrato calabrese, ma anche tutti coloro che si sono ritrovati a guardare un uomo morire.

Si dirà: l’aveva scelto lui, aveva cercato e ottenuto assistenza per suicidarsi a Basilea, in Svizzera, quasi certamente manipolando un certificato medico per raggiungere il suo scopo. Vero. Ma quelle immagini riproposte dalla nota trasmissione di Italia Uno con gelido approccio documentale, hanno letteralmente annichilito chi lo amava e lo considerava un punto di riferimento per la comunità vibonese. Perché a quattro anni dalla sua morte, il vuoto affettivo e culturale lasciato da questo uomo appare ancora incolmabile. Sentire parlare di lui da chi lo conosceva bene o semplicemente ne apprezzava l’opera come studioso del diritto e della cultura ebraica, dà la dimensione di un rispetto che sconfinava talvolta in una sorta di vera e propria adorazione.

«Era il nostro leader, un uomo di una spiritualità altissima, fuori da questo mondo…», sussurra nuovamente sopraffatta dal dolore la moglie Tina Russo, che lui affettuosamente chiamava “Tive”. Dopo la trasmissione è ripiombata nella disperazione più cupa, soprattutto quando ripensa all’immagine del marito ormai senza vita coperto alla bene e meglio con un plaid, mentre nei suoi pressi si vede Erika Preisig, la dottoressa della clinica elvetica che lo aiutò a morire, intenta a mangiare. La rappresentazione forse più sconvolgente di una routine della “dolce morte” che a distanza di quattro anni è tornata a graffiare l’anima di Tina con stilettate di dolore.

«Mio marito è stato umiliato, la sua dignità oltraggiata – continua -. E anche se dovesse risultare che abbia preventivamente acconsentito all’utilizzo dei filmati che riprendono il suo suicidio assistito, è evidente che ciò che è andato in onda rappresenta una violenza inaudita per la sua memoria».

Uno sconcerto che ha colpito tutta la comunità di Piscopio, frazione della città di Vibo di cui D’Amico era originario. Da questo pugno di case ai piedi della rupe sulla quale sorge il castello Normanno Svevo, il giudice non ha voluto mai allontanarsi, nonostante gli impegni professionali lo abbiamo portato nel corso degli anni a spostarsi in varie parti d’Italia. Ma era qui, a Piscopio, che tornava sempre, per poi restarci definitivamente quando decise di andare in pensione con largo anticipo, forse a causa di quel male di vivere che già lo attanagliava.

«La nostra comunità ha reagito malissimo a quella trasmissione – rimarca la moglie -, è come se Pietro fosse morto ieri, una seconda volta. Stiamo tutti impazzendo dal dolore e ci dissociamo totalmente da ciò che è andato in onda. Non avremmo mai voluto che quelle immagini venissero riproposte».

Una precisazione che serve a prendere le distanze dalla decisione della figlia del giudice, Francesca D’Amico – nata da un’altra relazione prima che Tina e Pietro si sposassero nel 2007 – di farsi intervistare dall’inviata delle Iene, Nadia Toffa. Nel corso del servizio targato Mediaset, la giovane, che vive a Cesena, ha puntato il dito contro la clinica svizzera, che avrebbe acconsentito al suicidio assistito del padre sulla base di un certificato medico non supportato da riscontri clinici. Un aspetto della vicenda sicuramente molto importante, ma per Tina del tutto marginale rispetto alla reale volontà del marito.

«Nella lettera che mi ha scritto e ho ricevuto dopo la sua morte – racconta – Pietro mi diceva che sulla sua scomparsa voleva che scendesse un riserbo assoluto. Ecco perché non posso sopportare che sulla sua fine siano stati nuovamente accesi i riflettori. Ma allo stesso tempo, ora che purtroppo quel video è andato in onda, voglio scacciare l’immagine di mio marito senza vita sotto quella coperta. Quel fagotto informe non era davvero lui, perché lui era un gigante con una mente di una grandezza inenarrabile. Uno studioso finissimo, un uomo di immensa cultura, esperto di mille cose, ma soprattutto una persona straordinaria».

Sul valore umano del giudice D’Amico concorda senza riserve anche il suo mentore, il magistrato ed ex presidente della Regione Giuseppe Chiaravalloti.

«Sono stato il suo istruttore all’inizio della carriera – racconta – e da allora ho imparato a conoscerlo fino a diventare uno dei suoi migliori amici. D’Amico era un grande giurista, autore di manuali universitari e di brillanti teorie sulla filosofia del diritto, ma era soprattutto un uomo dalla bontà sterminata, che è rimasto stritolato nelle spire di una vita alla quale forse non era preparato».

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