venerdì,Aprile 19 2024

Processo “Purgatorio” a Vibo, sospesa la requisitoria

Imputati l’avvocato Antonio Galati e gli ex vertici della Squadra Mobile Maurizio Lento ed Emanuele Rodonò ancora al centro della discussione del pm Frustaci

Processo “Purgatorio” a Vibo, sospesa la requisitoria

Bisognerà attendere la prossima udienza, fissata per il 18 dicembre, per conoscere le richieste di condanna che il pm della Dda di Catanzaro, Annamaria Frustaci, formulerà nei confrtoni degli imputati del processo “Purgatorio”: l’avvocato Antonio Galati del foro di Vibo Valentia (difeso dagli avvocati Sergio Rotundo e Guido Contestabile), accusato di associazione mafiosa (clan Mancuso), e gli ex vertici della Squadra Mobile di Vibo Valentia, Maurizio Lento (avvocato Maurizio Nucci) ed Emanuele Rodonò (avvocato Armando Veneto), accusati di concorso esterno in associazione mafiosa e rivelazione di segreti d’ufficio.

La requisitoria era iniziata il 25 novembre scorso ed era proseguita giorno 30. Un processo complesso in cui non sono mancati i “colpi di scena”, nato da una “costola” dell’operazione “Black money” contro il clan Mancuso e più precisamente da un tomo della voluminosa informativa dei carabinieri del Ros di Catanzaro denominata “Purgatorio” e costituita da ben sette faldoni. Proprio il settimo faldone ha poi avuto come sbocco processuale quello che vede imputati i due ex vertici della Squadra Mobile e l’avvocato Antonio Galati. 

Gli interventi dei difensori inizieranno il 22 dicembre. L’intera udienza odierna è stata dedicata alle posizioni di Maurizio Lento ed Emanule Rodonò che, secondo il pm, “avrebbero abdicato a svolgere indagini sul clan Mancuso di Limbadi”. 

In particolare, il pm della Dda di Catanzaro, Annamaria Frustaci, dopo aver delineato la fattispecie di reati del concorso esterno in associazione mafiosa, richiamando le sentenze della Cassazione, la sentenza su Giluio Andreotti e quella su Calogero Mannino, si è soffermata sia sull’organizzazione interna della Questura di Vibo all’epoca dei fatti, sia sulle note dello Sco (Servizio centrale operativo della polizia) che segnalavano canali di indagini sul clan Mancuso e sia su quanto emerso dall’ascolto delle intercettazioni ambientali e telefoniche.

Nello specifico, una è stata fatta riascoltare in aula e risale al 16 ottobre del 2011 quando in macchina si trovavano l’avvocato Antonio Galati ed Emanuele Rodonò. E’ una delle intercettazioni più delicate dell’intero processo perchè nella stessa Rodonò afferma di non aver potuto indagare sui Mancuso per “un obbligo di fedeltà, amicizia e per motivi gerarchici”, confidando all’avvocato Galati che prima del suo trasferimento per pura curiosità di investigatore e di poliziotto si sarebbe andato a leggere le ordinanze delle operazioni antimafia Genesi, Tirreno, Dinasty e Rima per capire chi fossero i Mancuso e perchè erano “diventati quello che sono diventati”. Un discorso, quello di Rodonò, che viene fatto dopo una serata trascorsa fuori e dopo qualche “bicchiere di troppo” che, nell’ottica accusatoria, avrebbe permesso di far venir meno ogni freno inibitorio e confessare “l’inconfessabile”. L’avvocato Galati avrebbe cercato, nel corso della conversazione, di zittire più volte Rodonò alzando il volume della radio in macchina. “Quale la necessità – si è chiesta il pm Frustaci – da parte dell’avvocato Galati di interrompere Rodonò se era tutto lecito? Vuol dire che c’era qualcosa di inconfessabile che non doveva essere detto…”

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