sabato,Aprile 20 2024

Il “calvario” della testimone di giustizia contro i Mancuso, indagati a giudizio

Riduzione in schiavitù e maltrattamenti ai danni di Ewelyna Pytlarz, moglie di Domenico Mancuso. Ipotizzata anche l’accusa di usura

Il “calvario” della testimone di giustizia contro i Mancuso, indagati a giudizio

Riduzione e mantenimento in schiavitù, maltrattamenti in famiglia e usura. Questi i reati per i quali il gup distrettuale di Catanzaro – in accoglimento di una richiesta della Dda – ha disposto quattro rinvii a giudizio nell’ambito di un’indagine che vede quale vittima e parte offesa Ewelyna Pytlarz, la donna polacca moglie di Domenico Mancuso (fratello dei più noti boss Giuseppe Mancuso, 61 anni, alias “Pino Bandera”, e Pantaleone Mancuso, 60 anni, detto “Scarpuni”) divenuta dal dicembre 2013 testimone di giustizia. 

Il reato di riduzione e mantenimento in schiavitù, aggravato dalle modalità mafiose, viene contestato a Domenico Mancuso, 47 anni, ed alla madre Giulia Tripodi, 82 anni, di Limbadi, per aver costretto Ewlyna Pytlatrz a vivere in condizioni insostenibili, vietandole di avere contatti con terze persone senza preventiva autorizzazione e, comunque, sempre in regime di stretto controllo e sorveglianza. Domenico Mancuso e Giulia Tripodi avrebbero poi costretto la donna polacca a lavori defatiganti, sfruttandola nella lavorazione del pane in un forno di famiglia senza alcun rispetto per gli orari lavorativi. La donna sarebbe stata oggetto di ripetute violenze e minacce, colpita con pugni e calci alla pancia, con l’avvertimento da parte di Giulia Tripodi che, ove si fosse ribellata, le avrebbero fatto fare la stessa fine di Santa Buccafusca (deceduta il 16 aprile 2011 ingerendo acido muriatico), ovvero la moglie di Pantaleone Mancuso, oppure le avrebbero tagliato la testa. Ewlyna Pytlatrz all’epoca era fra l’altro madre di una bambina in tenerissima età. Le contestazioni coprono un arco temporale che va dal 2006 al dicembre 2013 e vedono quali luoghi di commissione i paesi di Limbadi e Nicotera. [Continua dopo la pubblicità]

Il reato di maltrattamenti in famiglia viene poi contestato con alla sola Giulia Tripodi, mentre per il figlio Domenico Mancuso (marito di Ewelyna) la posizione è stata stralciata ed ha proceduto in tal caso la Procura di Palmi. 

Fra gli indagati originari dell’inchiesta figurava anche Salvatore Mancuso (cl. ’36), marito di Giulia Tripodi e padre di Domenico Mancuso (nonché fratello dei più noti boss Ciccio, Domenico e Pantaleone, tutti deceduti, Antonio, Giovanni, Cosmo Michele e Luigi) che nel frattempo è però deceduto. Alla Tripodi, in particolare, viene contestato di aver maltrattato la nuora e la nipotina minorenne costringendole a subire offese continue da parte di Domenico Mancuso il quale avrebbe omesso di provvedere ai bisogni primari della figlia appena nata (evitando di comprargli medicine e pannolini), disinteressandosi delle condizioni di salute della moglie in procinto di partorire. Anche in questo caso le contestazioni sono aggravate dal metodo mafioso e dall’evocazione dell’appartenenza al clan Mancuso. [Continua in basso]

Roberto Cuturello

L’accusa di usura – aggravata dal metodo mafioso – viene invece mossa a Giulia Tripodi in concorso con Roberto Cuturello, 54 anni, di Nicotera, congiunto dei Mancuso. In questo caso, Giulia Tripodi avrebbe prestato (dal marzo 2003 al 31 agosto 2009) del denaro ad usura ad Antonio Agostino, 63 anni, di Nicotera, mentre Roberto Cuturello avrebbe provveduto alla materiale riscossione dei crediti. Lo stesso Antonio Agostino è stato a sua volta rinviato a giudizio per il reato di favoreggiamento personale in quanto avrebbe dichiarato agli inquirenti – contrariamente al vero, secondo l’accusa – di non aver mai ricevuto richieste di restituzione di denaro da parte di Giulia Tripodi, né di aver mai sentito parlare di interessi. Il Processo per il reato di riduzione in schiavitù si aprirà il 23 novembre prossimo dinanzi alla Corte d’Assise di Catanzaro competente a giudicare per tali reati. Per il reato di usura e favoreggiamento il processo si aprirà invece dinanzi al Tribunale collegiale di Vibo Valentia il 22 marzo prossimo.
Domenico Mancuso e la madre Giulia Tripodi sono difesi dagli avvocati Francesco Capria e Francesca Comito, Roberto Cuturello dall’avvocato Giovanni Vecchio, mentre Antonio Agostino è assistito dall’avvocato Salvatore Pronestì.

LEGGI ANCHE: Autobomba di Limbadi, Scarpulla e Vinci in aula: «Così ci hanno distrutto la vita»

Autobomba di Limbadi, i rosarnesi indicano le precise responsabilità del clan Mancuso

Autobomba di Limbadi, non reggono le accuse per l’inchiesta “Demetra 2”

top