venerdì,Marzo 29 2024

Filadelfia: intervista esclusiva ad Andrea Braido, il chitarrista di Vasco e di tutti i grandi nomi della musica italiana

Esibizione insieme a “La combriccola del Blasco”. Dalla gavetta ai palcoscenici nazionali e internazionali, il guitar hero ci svela le sue influenze, le ore passate a studiare, l’amore per la Calabria e diversi particolari inediti

Filadelfia: intervista esclusiva ad Andrea Braido, il chitarrista di Vasco e di tutti i grandi nomi della musica italiana
Il chitarrista Andrea Braido a Filadelfia

di ANDREA FERA

Non può lasciare indifferenti, il nome di Andrea Braido. Orgoglio tutto italiano, guitar hero assurto alla consacrazione nell’Olimpo della musica nazionale ed internazionale.  Musicista poliedrico e funambolico, dotato di una tecnica mostruosa, nei suoi quarant’anni (anno più, anno meno) di attività professionale, è riuscito a penetrare negli anfratti più reconditi dei cuori di intere generazioni, attraverso assoli di chitarra infiammati, destinati all’immortalità, come monumenti scolpiti nella roccia. Ha scritto pagine epiche di storia della musica moderna italiana, “El Braidus”, come lo chiamano i fans. Il suo genio musicale è presente in esperienze che lo vedono prendere parte alla realizzazione dei dischi di maggior successo del panorama cantautorale italiano:  Mina, Patty Pravo, Francesco Baccini, Vasco Rossi, Adriano Celentano, Antonella Ruggiero, Enzo Jannacci, Angelo Branduardi, Raf, Paola Turci, Bruno Lauzi, Eros Ramazzotti, Laura Pausini, questi alcuni nomi. Non è da meno la sua esperienza in ambito internazionale, l’esperienza newyorkese su tutte, forse, in cui “El Braidus” ha suonato in contesti musicali di altissimo livello, facendo capire di cosa fosse capace quell’italiano partito dalla provincia di Trento, verso l’America del jazz, del blues, del rock, della fusion. Ha condiviso la sua esperienza con i nomi più imponenti della sei corde. Uno su tutti, Frank Gambale. L’occasione per incontrarlo e fargli qualche domanda è stata la “Festa della musica”, organizzata dall’associazione “Melody” e patrocinata dal Comune di Filadelfia. Un’occasione di speranza, dopo due anni di buio pandemico, che fa ben sperare in una ripresa e in un ritorno della musica, quella vera, anche in Calabria. Mattatore assoluto della serata, Braido è stato accompagnato dalla cover band a tema Vasco, “La combriccola del Blasco”, del frontman Antonio “Tony Bee” Lampasi.

Braidus, tu sei un grandissimo polistrumentista, ma nasci come batterista. Come ti sei avvicinato alla chitarra?

«Mi sono avvicinato un pò guardando il chitarrista che suonava nel mio gruppo. A breve uscirà anche un  libro di 530 pagine, in cui descrivo molto bene la fase iniziale della mia carriera di musicista. Il suono della chitarra mi ha subito rapito. Mi affascinavano la melodia, l’armonia, il ritmo, cosa che la batteria mi dava per una sola  parte. Poi, è stato complice anche un mio amico pasticcere che, oltre a farmi ascoltare tantissima musica pazzesca, mi ha fatto sentire la chitarra, una Fender “Telecaster”, ed io ho capito che era uno strumento che mi interessava molto. Non conoscevo ancora le note, non conoscevo nulla e, quindi, è stata una cosa spontanea, così come lo è stato per la batteria. Ho imparato la musica più tardi, ma il mio rapporto con la sei corde, è sempre stato di tipo uditivo, anche perché non c’erano video facilmente reperibili, come avviene oggi. In tal senso, credo vi sia una sovraesposizione. La gente impara le cose, ma non tira fuori la propria personalità». [Continua in basso]

Quali sono le tue principali influenze chitarristiche?

«Il primo che mi ha spinto a suonare e che mi è rimasto dentro come sound è sicuramente Hendrix, sia a livello ritmico che a livello di rabbia. Quel modo si storcere il manico della chitarra, l’ho fatto mio sin da piccolo. Poi, tra i chitarristi inglesi ci sono Ritchie Blackmore e Alvin Lee. Inoltre, ho ascoltato tantissimo jazz e tanti altri strumenti, oltre alla chitarra. Rimanendo ancora sui chitarristi posso farti i nomi di Wes Montgomery, John McLaughlin, Al Di Meola ed altri. Ero veramente piccolo, quando ascoltavo i loro dischi. Però ho ascoltato e studiato tanti altri strumenti che ho fatto confluire sempre lì».

Come musicista, difendi molto la tua autonomia. Non ti accontenti di fare solo il turnista, ma tendi a garantirti anche degli spazi musicali tutti tuoi. In alcune occasioni, per questo motivo, hai rinunciato anche a tourné o a dischi “per conto terzi”.

«Si, è così. Guarda, il discorso è molto semplice. Io ho sempre dato tanto nei tour, nelle cose che ho fatto e, dopo aver dedicato venticinque anni agli altri, ho cercato in tutti i modi di andare con le mie gambe. Certo, è molto difficile perché, a livello nazionale ed internazionale non si è aiutati minimamente. La musica è una cosa vera,  molto potente ma, a volte, non così tanto. Comunque, difendo la mia autonomia perché quello che ho messo in tutti i dischi che ho fatto, da Riccardo Fogli a Mina, a Lauzi, a tutte le cose meno conosciute, di cui parlo nel mio sito e nel mio libro di imminente uscita, ci ho messo lo stesso impegno, la stessa energia, la mia vita, cioè quello che io, comunque, sono».  

Alla luce della tua lunga esperienza all’estero, ti chiedo come, secondo te viene gestita la musica in Italia. Cioè, ti senti tutelato o supportato, ad esempio, dalle Istituzioni?

«Assolutamente, no! Nei due precedenti anni di pandemia, la nostra categoria è stata praticamente ignorata e anche la Siae, per quanto mi riguarda, non ha fatto quasi nulla. Siamo stati completamente ignorati, come se non esistessimo. La differenza è che all’estero, un musicista bravo viene molto supportato, si è molto orgogliosi di lui. Invece, in Italia, un pò l’invidia, un pò questo modo di criticare qualsiasi cosa uno faccia, secondo me, è autodistruttivo e sta dando dei risultati distruttivi. È un atteggiamento autolesionistico. Se un personaggio famoso dice una cosa, non gli puoi dare addosso solo perché è famoso e fargliene una colpa. C’è tanta frustrazione. Io mi sono fatto il culo a suonare il liscio dall’età di dieci anni, per sette ore di fila e non mi si può dire che io sia stato fortunato, perché bisogna capire cosa significa fare la gavetta. La gavetta non è solo fare il cameriere o il muratore. Esiste anche una gavetta di musicisti. Questo va imparato, una volta per tutte».

Tu suoni con diverse tribute band a tema Vasco Rossi, in tutta Italia. In questo caso, si può dire che sia tu a “coverizzare” te stesso. Molti musicisti hanno un pessimo concetto delle tribute band. Tu, evidentemente, no.

«Sarò molto semplice. È chiaro che, avendo vissuto in uno dei periodi di Vasco, a detta di tutti, più luminosi della sua carriera, cioè “Fronte del palco”, “Gli spari sopra”, “Nessun pericolo per te” (Titoli album di Vasco Rossi, ndr), a volte, fa uno strano effetto suonare con delle band e dei cantanti che lo imitano più o meno bene. Però, fin quando la gente vorrà sentire quei brani e ama quelle vibrazioni che io ancora cerco di trasmettere esattamente con lo stesso spirito, lo farò. Non è un discorso nostalgico verso Vasco. È una cosa che piace alla gente e, fin quando io avrò l’energia per fare questa cosa, la farò. E mi diverto, anche. Molti fans hanno un atteggiamento, nei confronti di certi cantanti iconici, soprattutto Vasco, per cui sono spinti a considerare quei cantanti stessi come una cosa di loro appartenenza. O che tutto quello che è uscito da loro sia soltanto farina del proprio sacco. Nulla di più sbagliato. Le cose nascono da una commistione di energie, da idee e da talenti di diverso genere. Questa è la realtà, che vale per i Queen come vale per Bach che, comunque aveva dei musicisti che gli hanno dato un sound.



Seguendo alcune tue video interviste, ho visto che passi dal dialetto “trentin – veneto” al calabrese, in un attimo. C’è qualcosa in particolare che ti lega alla Calabria?

«Si, perché ho vissuto anche in Calabria, a Palmi» – spiega il “calabrese” Braido facendo sfoggio di un ampio ventaglio lessicale condito dalle più autentiche cadenze dialettali “Made in Calabria”. «Io, a differenza del trentino tipico, non ho un atteggiamento di chiusura campanilistica. Di ogni posto in cui vado, amo le relative peculiarità. Ed è come la musica. Apprendo delle sensazioni, dei sapori, delle cose diverse in ogni posto. Infatti sono andato via dal Trentino per vedere com’è ciò che sta fuori. Purtroppo, molti parlano spesso della vita degli  altri, senza avere il coraggio di fare un’esperienza propria. Invece, bisogna avere il coraggio di prendere lo zainetto e scoprire un determinato posto. Finché non ci vai, è solo un’impressione riportata da qualcun altro».

Un saluto a tutti i fans calabresi.

«Spero di venire in Calabria anche con dei miei progetti, sia jazz che rock. Per me è un piacere, incontro sempre persone in gamba, amici carissimi, quindi, un abbraccione a voi e speriamo di vederci più frequentemente».

E lo speriamo anche noi.

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