martedì,Aprile 23 2024

Corsivo | Il Pd vibonese alla prova di credibilità definitiva

Il segretario provinciale Di Bartolo messo a dura prova per le nomine del suo vice e del presidente. Riaffiorano metodi e nomi vecchi che delegittimano il partito

Corsivo | Il Pd vibonese alla prova di credibilità definitiva
Giovanni Di Bartolo

Dopo i congressi, le tensioni e le polemiche all’interno del PD non accennano ad attenuarsi, anzi potrebbero rivelarsi ancor più aspre. Le prime avvisaglie in tal senso non mancano, e la costituzione del direttivo provinciale, l’individuazione del vice segretario e del presidente provinciale rappresenteranno campi di battaglia che metteranno a dura prova la legittimazione politica e la leadership del neo segretario Di Bartolo. Egli infatti sarà chiamato a dimostrare di essere capace di avviare quella rigenerazione totale del partito attraverso metodi e volti nuovi di cui ad oggi però non vi è traccia, anzi i fatti che hanno caratterizzato l’iter congressuale, soprattutto quello cittadino, remano in senso contrario. La circostanza che l’assemblea provinciale non sia stata ancora convocata la dice lunga su ciò che bolle in pentola, dal cui coperchio sono però già venuti fuori i nomi degli aspiranti alla carica di presidente del partito, ed a quello di vice segretario provinciale. Nell’ordine essi sono: per la prima postazione Luigi Tassone e Michele Mirabello, per la seconda Sergio Rizzo, volti e nomi noti, che in precedenza avevano posto nel mirino la carica di segretario provinciale, rimanendo per motivi diversi a mani vuote ed oggi, dopo non esser riusciti ad entrare dalla porta principale, cercano di usare la finestra.

Quanto ai primi due, va osservato che se nulla si può obbiettare sulle loro aspirazioni personali, molto invece va detto sull’astruso percorso logico che dovrebbe presiedere ed avallare una scelta del genere. Apparirebbe infatti poco comprensibile e contradittorio il comportamento di un partito il quale, dopo aver mosso – nel nome di quel famoso rinnovamento di cui si è detto – una guerra senza quartiere all’on. Censore, fin quando lo stesso ha deciso di abbracciare il progetto di Renzi, sceglie quale proprio presidente Tassone o Mirabello, che dell’ex parlamentare sono stati i vassalli. Se così dovesse essere, sarebbe lecito pensare che la guerra a Censore nascondeva altri fini, magari i timori che la sua ingombrante presenza potesse oscurare quei personaggi che oggi nel partito occupano le postazioni un tempo appartenute all’ex parlamentare e consigliere regionale. Comunque stiano le cose, un fatto è certo: anche gli ultimi eventi dimostrano come sia Tassone che Mirabello rappresentino l’antitesi del rinnovamento di metodi e modi, e ciò è attestato in modo incontrovertibile – per il primo – dalle oltre duecento tessere annullate per le anomale modalità di pagamento delle stesse e, per quanto concerne il secondo, dalla tenacia con cui un suo “fidato uomo”, componente della commissione di garanzia, si è battuto per estromettere Claudia Gioia dalla competizione con Francesco Colelli.

Nel concreto è stata ipotizzata l’inammissibilità della lista a sostegno della Gioia per il fatto che l’alternanza di genere non sarebbe stata rispettata, mentre nel contempo allo stesso componente “casualmente sfuggiva” una anomalia, grossa quanto un grattacielo, ovverosia la presenza, tra i candidati dell’altra lista, del presidente della commissione che aveva gestito il tesseramento. Cosa si celi dietro il mistero di queste sviste sarà chiaro nel momento in cui si paleseranno i nomi di chi perorerà la causa di Mirabello. Ancor peggio, in fatto di vecchi metodi, per quanto riguarda la nomina del vice segretario provinciale, in ordine alla quale Di Bartolo ha ricevuto un perentorio aut aut da parte del sindaco di Gerocarne, Vitaliano Papillo, riassumibile nei seguenti termini: o la carica sarà assegnata a Sergio Rizzo oppure salta l’unità faticosamente raggiunta grazie al precedente passo indietro del suo sponsorizzato. Imposizioni e termini veramente inconcepibili, che delegittimano Di Bartolo ponendolo in un angolo dal quale, a questo punto, potrà uscire unicamente dimostrando di possedere quell’autorevolezza che Papillo non gli ha riconosciuto. Detto questo, occorre capire quali sarebbero gli indiscutibili “meriti”, ravvisabili in capo a Rizzo, che hanno indotto Papillo a formulare quelle perentorie “minacce”. Dalla rivisitazione degli eventi emerge unicamente che Rizzo, con la sua candidatura, ha posto in forte imbarazzo i vertici regionali e nazionali del partito, i quali avevano individuato in Di Bartolo la figura più idonea ad incarnare l’idea del taglio netto con i metodi pregressi. Se poi qualcuno nel partito ha barattato il passo indietro di Rizzo con la promessa che oggi Papillo pretende di incassare, più che di meriti saremmo di fronte ad un’operazione che va nel senso opposto al percorso agognato. A breve vedremo se Di Bartolo si dimostrerà all’altezza del compito assegnatogli dai vertici del partito, oppure assisteremo alle solite liturgie che premiano gli “affamati di poltrone” che fanno più caciara, che tramano nell’ombra e che maggiormente delegittimano la credibilità del partito.

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