sabato,Aprile 20 2024

LA RIFLESSIONE | Referendum costituzionale, basta davvero un “Sì” per cambiare il Paese?

È evidente che la seconda parte della Costituzione va rivista, ma è al tempo stesso un dato di fatto che il bicameralismo perfetto, abbinato ad un sistema elettorale di tipo proporzionale, non ha impedito all’Italia di diventare quinta potenza mondiale

LA RIFLESSIONE | Referendum costituzionale, basta davvero un “Sì” per cambiare il Paese?

Il prossimo 14 dicembre gli italiani saranno chiamati alle urne per decidere se approvare o meno la legge di revisione costituzionale che porta il nome del ministro Maria Elena Boschi. La campagna referendaria è stata connotata fin dal principio da toni apocalittici e catastrofisti.

“Se vince il “No” non cambia nulla per i prossimi 20 anni”; “Se vince il “No” il Paese tornerà in recessione” (come se ne fosse realmente mai uscito); “Se vince il “No” si torna indietro di 30 anni” (magari aggiungerei io). Tutto questo è stato corroborato da una forte personalizzazione da parte del premier Renzi (“Se vince il “No” mi dimetto e lascio la politica”), a discapito di una seria analisi nel merito.

Una cosa però è certa: che qualunque sarà il risultato, il 5 dicembre avremo ancora un Paese diviso, in preda ad una crisi economica senza precedenti. Sono di pochi giorni fa i dati Inps che dimostrano l’inutilità degli sgravi fiscali alle imprese e del “Jobs act”, così come sono di pochi giorni fa i dati sulla povertà assoluta e relativa nel paese (allucinanti sono quelli che riguardano il Mezzogiorno).

Basta una riforma costituzionale per rimediare a tutto questo? La risposta è ovviamente “No”. Per intenderci, chi scrive crede che la seconda parte della nostra bella Costituzione vada rivista, superando sistemi che hanno perso il loro significato storico (vedi Bicameralismo). È però un dato di fatto che il Bicameralismo perfetto, abbinato ad un sistema elettorale di tipo proporzionale, non ha impedito all’Italia di diventare quinta potenza economica al mondo, e di avere tra i migliori sistemi di tutela sociale e civile per i lavoratori e le famiglie.

La legge sul divorzio, quella sull’aborto, lo Statuto dei lavoratori, la riforma del diritto di famiglia, il Sistema sanitario nazionale, furono tutte leggi approvate con l’attuale sistema costituzionale. Altri tempi, e probabilmente altra classe politica. Certo i principi che muovono questa riforma sono buoni e anche condivisibili.

Superamento del bicameralismo perfetto, abolizione del Cnel, redistribuzione dei poteri tra Stato e Regioni; chi non vorrebbe tutte queste cose? Il punto è che se poi andiamo a vedere la riforma nel merito, non possiamo che notare un coacervo di proposizioni sconclusionate, che nel nome della governabilità trasformano un sistema semplice e chiaro in un sistema scombinato e confuso, che in futuro potrebbe anche aprire la strada a derive autocratiche e a “dittature della maggioranza”.

Con il nuovo riparto di competenze tra Camera e Senato, il nostro bicameralismo diventa estremamente pasticciato, con senatori nominati dai consigli regionali senza vincoli di mandato, che giovati dall’acquisto dell’immunità parlamentare, potranno legiferare su tutto meno che su il riparto di competenze tra Stato e Regioni.

Con la revisione del Titolo V, si ritorna ad uno Stato centralista, che uccide il pluralismo decisionale implicito nella nostra Costituzione, che non tocca gli ormai inutili privilegi delle Regioni a statuto speciale, che crea regioni di serie B e di serie C, e che si riappropria di materie fondamentali come infrastrutture, beni culturali e politiche energetiche, non toccando però l’unica materia meritevole di tornare ad essere di competenza esclusivamente statale: la sanità.

Se consideriamo poi l’attuale sistema elettorale iper-maggioritario, il cosiddetto “Italicum”, si consegna la nomina degli organi di garanzia al predominio della maggioranza di governo, consegnando a quest’ultima anche la dichiarazione dello stato di guerra.

Certo, ci sono aspetti positivi, come l’abolizione del Cnel, o l’aumento degli strumenti di democrazia diretta e partecipata. Qualora dovesse vincere il “No” questa parte della riforma potrebbe essere riproposta all’attuale Parlamento, che la potrebbe approvare a maggioranza dei 2/3 senza necessità del referendum confermativo.

Purtroppo i “contro” sono più dei “pro”. Al di là della propaganda di regime, questa riforma può aiutare concretamente l’Italia e i suoi abitanti? In un Paese dove la disoccupazione tocca ancora vette altissime, dove il precariato la fa da padrona, dove la povertà assoluta aumenta vertiginosamente, dove undici milioni di italiani hanno rinunciato alle cure mediche, dove il numero degli studenti universitari diminuisce, e dove più di centomila giovani espatriano alla ricerca di un lavoro dignitoso, basta realmente un “Si” a cambiare il paese? La risposta non può che essere “No”.

*Comitato per il “No”

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