giovedì,Aprile 18 2024

Quando l’Italia si fermava a Vibo

Durate la rivolta di Reggio Calabria i collegamenti ferroviari e marittimi da e per la Sicilia si interrompevano a Vibo Marina. E dal porto partivano i traghetti per Messina

Quando l’Italia si fermava a Vibo

Il 14 luglio 1970 esplose a Reggio Calabria una violenta rivolta popolare. A innescarla, com’è noto, fu la scelta di istituire a Catanzaro il capoluogo di Regione, ma i moti avevano radici lontane. La rivolta di Reggio sarebbe durata fino al febbraio del 1971, quando il presidente del Consiglio, Emilio Colombo, annunciò che a Reggio sarebbe sorto il quinto centro siderurgico nazionale con la creazione di oltre diecimila posti di lavoro.

Con un titolo a caratteri cubitali, la Gazzetta del Sud dell’11 ottobre 1970, informava che l’Italia si fermava a Vibo. La rivolta di Reggio, la cosiddetta “guerra per il capoluogo”, stava infatti infiammando tutto il territorio della provincia reggina. Stazioni ferroviarie, strade, porti e ogni via di comunicazione erano occupate dai manifestanti.

Quasi uno stato di guerra. Fra i problemi più impellenti che si ponevano vi fu quello di ripristinare i collegamenti con la Sicilia, rimasta isolata per l’occupazione di porti e ferrovie da parte dei manifestanti. Vibo divenne allora l’ultimo avamposto prima di un territorio in preda alla guerriglia.

Venne quindi deciso di dirottare le navi-traghetto delle Ferrovie dello Stato verso il porto vibonese, con solo servizio passeggeri, mentre i treni con destinazione nord sarebbero stati formati nella stazione di Vibo Marina. Il 15 ottobre venne mobilitato l’esercito, unico caso nella storia repubblicana italiana, per tenere sotto controllo la linea ferrata tra Salerno e Reggio Calabria. Le navi-traghetto fecero quindi la spola tra Messina e Vibo, trasportando migliaia di passeggeri.

La rivolta si concluse solo dopo 10 mesi d’assedio, con l’inquietante immagine dei carri armati sul lungomare della città. In seguito a quella esperienza, nello scalo vibonese, alla fine della banchina Bengasi, venne costruito un imbarcadero dotato di una rampa per i portelloni dei traghetti. Ma l’idea di istituire un collegamento marittimo con la Sicilia non ebbe seguito, le cosiddette “autostrade del mare” erano ancora di là da venire. Fu, quella, una delle tante occasioni perdute per un possibile sviluppo del porto.

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