venerdì,Marzo 29 2024

Le “giudecche” del Vibonese, ecco cosa resta dell’ebraismo in provincia di Vibo

Nel XV secolo erano 315 i residenti nel quartiere ebraico di Monteleone. Un legame profondo, quello tra la religione ebraica e il nostro territorio, testimoniato da numerosi reperti e dalla toponomastica di diversi paesi

Le “giudecche” del Vibonese, ecco cosa resta dell’ebraismo in provincia di Vibo

Secondo qualche studioso il 40 per cento dei calabresi discende da ebrei costretti a scegliere il cristianesimo per forza o per necessità. Il legame che unisce l’ebraismo e la Calabria è stato storicamente molto importante e non è un caso se, ancora oggi, i rabbini di tutto il mondo, ogni estate tra luglio e agosto, si danno appuntamento proprio in Calabria per selezionare i cedri migliori per la festa del “Sukkoth”.

Nel Medioevo furono moltissimi gli ebrei che si stabilirono in Calabria fino alla loro definitiva cacciata avvenuta nel 1541 ad opera dell’imperatore Carlo V, che fece seguito alla prima espulsione decretata dal re di Spagna Ferdinando il Cattolico, nuovo sovrano del Regno di Napoli, evento che non fu estraneo alla decadenza economica della regione.

A distanza di cinque secoli, cosa rimane oggi, nel territorio vibonese, di questa straordinaria esperienza di vita, di religione, di cultura? Ci rimangono alcuni frammenti di terracotta con stampigliata la “menorah” ebraica (foto in basso), facenti parte di un’ansa frammentaria, recuperati anni fa nei magazzini del Museo Archeologico di Vibo, nonché un’iscrizione del 1454, conservata a Messina, che ricorda una donazione annuale perpetua di olio di Mesiano (località del Vibonese) a favore della sinagoga di Taormina (nella foto in alto).

Ma, soprattutto, rimangono le vestigia degli antichi quartieri ebrei, le cosiddette “giudecche”, esistite in molte località del territorio vibonese.

Della presenza israelita rimane memoria a Nicotera, dove ancora oggi vi sono testimonianze del quartiere della “Giudecca” vicino al castello e alla cattedrale, ma anche Arena conserva ancora le testimonianze di una via “Giudecca”. Una “via dei Marrani” (venivano chiamati “marrani” gli ebrei che, durante il Medioevo, furono costretti ad abbracciare la religione cristiana per salvarsi la vita), inoltre, collegava Monteleone a Piscopio a testimoniare la presenza di una significativa comunità ebraica.

E un’importante presenza ebraica si registrò anche a Monteleone. Secondo lo storico Vito Capialbi erano 315 gli ebrei dimoranti nella Giudecca di Monteleone nel XV secolo. Quanto l’antica città fu ridotta a cumuli di rovine dalle incursioni barbariche, molti dei superstiti si rifugiarono nella marina, tra i ruderi del porto, e l’abitato che vi sorse continuò il nome della città madre, Vibona, poi Bivona.

Tra gli abitanti c’erano anche degli ebrei, attivi in quella che nel Medioevo era l’arte precipua che essi coltivavano, ossia la tintoria delle stoffe. Della tintoria di Bivona nel gennaio 1136 il re di Sicilia Ruggero II confermò la donazione a David, abate del monastero della Trinità di Mileto, insieme con la donazione allo stesso monastero dell’ebreo Leone e della sua famiglia, certamente i gestori della tintoria stessa.

E’ certo che nel primo decennio del XIV secolo nella città era viva e attiva una comunità ebraica, i cui membri erano specializzati – per antica tradizione – nel commercio della seta e nella tintoria. Grazie a loro, a Monteleone era fiorente un’industria della seta che, per importanza, era seconda solo a Catanzaro. Quando arrivarono gli Angioini, a Monteleone ci furono ebrei che soccombettero alla violenza fisica o morale e accettarono il battesimo.

Della comunità di Monteleone, ridotta ormai a due-tre famiglie, si ebbe l’ultima attestazione negli anni immediatamente precedenti l’espulsione decretata nel 1510 da Ferdinando il Cattolico, nuovo sovrano del regno di Napoli.

Non sembra che a Monteleone si sia ricostituita dopo il 1511 una presenza ebraica stabile. Secondo gli storici locali, gli ebrei nel XV secolo abitavano a Monteleone nella viuzza che collegherà poi il Collegio Filangeri, l’attuale Palazzo Murmura e l’orto di Francia (ora Villa dei Gagliardi) fino al ciglione dei Cappuccini.

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