giovedì,Aprile 18 2024

Da Alvaro ai giorni nostri, il vizio «d’inventar favole su una vita disadorna»

Sovente è costume vibonese sacrificare una faccia buona e pulita, un bravo e stimato professionista cui dietro si accalcano i medesimi interessi di sempre. Questa brava persona, viene irretita, ammaliata da lupi camuffati da agnelli…

Da Alvaro ai giorni nostri, il vizio «d’inventar favole su una vita disadorna»

La storia ci ha lasciato oltre che testimonianze materiali quali monumenti, edifici, chiese e pietre, anche opere d’intelletto e d’arte, libri e trattati, non solo fisicamente, ma anche come trasmissione ed imprinting nel Dna e nello spirito, così che il concetto greco classico di ciclicità delle stagioni, della storia, della vita si è realizzato e consumato più e più volte.

Concetto che si può, senza equivoco, applicare alla nostra realtà vibonese degli ultimi decenni. La vita cittadina e pubblica, nolenti o volenti, passa attraverso la politica che la gestisce, politica scelta dalla sua cittadinanza che, convinta o turlupinata dalla validità degli uomini e delle donne che sceglie ed elegge, diviene artefice del proprio destino. Mi si taccia di disfattista, certamente ci sono cose positive e belle della nostra terra, ma non dobbiamo coprirci gli occhi e far finta di nulla, lasciando che la nostra indifferenza ed il nostro menefreghismo prevalgano.

Possono le poche cose positive farci dimenticare e tollerare che stiamo vivendo in una “cloaca” materiale e morale? Già Corrado Alvaro in Gente d’Aspromonte ebbe a scrivere: “Dei Greci, i meridionali hanno preso il loro carattere di mitomani. E inventano favole sulla loro vita che in realtà è disadorna. A chi come me si occupa di dirne i mali e i bisogni, si fa l’accusa di rivelare le piaghe e le miserie, mentre il paesaggio, dicono, è così bello”. Sono passati 85 anni ed ancora assistiamo alle stesse manfrine, alle stesse chiacchiere apologetiche, ci casca il mondo addosso, votiamo sempre le stesse “chiaviche” di politici cialtroni, impreparati e corrotti che nominano ed assumono con fare nepotistico e clientelare un apparato burocratico inefficiente che poi ci danneggia ancor di più. Ma non ce ne frega niente, anzi, ci perdiamo nella difesa delle sciocchezze, situazione che ben si sintetizza nel detto nostrano di “attaccarsi alla cassa d’alici, mentre la barca affonda. Del resto, ancora lo stesso Alvaro ci fa notare che “I calabresi mettono il loro patriottismo nelle cose più semplici, come la bontà dei loro frutti e dei oro vini. Amore disperato del loro paese, di cui riconoscono la vita cruda, che hanno fuggito, ma che in loro è rimasta allo stato di ricordo e di leggenda dell’infanzia”. Come non dargli ragione.

Noi guardiamo con disprezzo la classe politica che eleggiamo con la bassa e bieca ambizione di riceverne compenso, non si spiega altrimenti questo campionario di analfabeti cui chiediamo di rappresentarci ad ogni tornata elettorale di ogni ordine e grado. Sovente è costume vibonese sacrificare una faccia buona e pulita, un bravo e stimato professionista cui dietro si accalcano i medesimi interessi di sempre. Questa brava persona, viene irretita, ammaliata da lupi camuffati da agnelli e l’ignaro quanto in buona fede professionista cade nella rete tesagli. Da che avrebbe dovuto dirigere il cambiamento, diviene in caso di vittoria o sconfitta istrumento e pedina, da protagonista a superfluo materiale di risulta, non più consono al gioco delle tre carte della solita e squallida becera politica, quella stessa che ha cambiato corrente, generale e padrone di partito pur rimanendo, a suo dire, “coerente…”.

C’è chi non si piega e va via, c’è chi invece lotta e si oppone. I vecchi amici si trasformano in franchi tiratori e la casa dove prima il buon uomo ha accolto cotanti calcolatori diviene di colpo deserta. Le pacche sulle spalle si trasformano in pugnalate e chi non è avvezzo alla politica si ritrova poi per dirla alla vibonese “col culo rotto e senza cerase”. Mi soccorrono il pensiero storici del calibro di Scoppola e Chabod, ma qui senza scomodare i grandi, per dirla alla paesana chiudiamo ancora e con rammarico facendo nostre le parole del buon Alvaro: “Non esiste difetto che, alla lunga, in una società corrotta, non diventi pregio, né vizio che la convenzione non riesca ad elevare a virtù.” Pertanto “Venghino signori, venghino …”.

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