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Il 2 giugno 1946 l’Italia scelse la Repubblica, ma nel Vibonese vinse la Monarchia

Nei comuni dell’attuale provincia di Vibo Valentia, che allora facevano parte della provincia di Catanzaro, si ebbero percentuali altissime

Il 2 giugno 1946 l’Italia scelse la Repubblica, ma nel Vibonese vinse la Monarchia
La scheda del Referendum popolare

Il 2 e 3 giugno 1946 circa 25 milioni di italiani, pari all’89,1% degli elettori, si recarono alle urne per la prima volta dopo venti anni di assenza di libere elezioni. Votarono anche le donne, ma non fu una novità assoluta in quanto il voto femminile aveva potuto essere espresso, per la prima volta nella storia d’Italia, nelle elezioni amministrative della primavera del 1946. Il risultato del referendum istituzionale, che doveva servire a determinare la forma dello Stato, monarchica o repubblicana, è noto a tutti: la Repubblica vinse con il 54,29%, mentre alla Monarchia andò il 45,75% e si contarono quasi un milione e cinquecentomila schede bianche o nulle.  Il risultato fu molto contestato, si parlò di brogli ma senza prove riscontrabili. Come spesso è accaduto nella storia d’Italia, la nazione si divise in due. [Continua in basso]

Il Nord, che aveva conosciuto la Lotta di Liberazione, scelse la Repubblica, al Sud, invece, dove nel 1943 i Savoia avevano trovato rifugio dopo la fuga da Roma, prevalse la Monarchia confermando la fedeltà ad una dinastia che, a parere di molti storici, aveva annesso il Regno delle Due Sicilie dopo una guerra di conquista e aveva fatto ricorso, in molte zone del Meridione, a una feroce repressione del cosiddetto “brigantaggio”. La più alta percentuale per la Monarchia (85%) venne registrata a Lecce. In Calabria, su 900.636 votanti, pari al 85,56%, la Repubblica ottenne 338.959 voti (39,73%), mentre la Monarchia 514.344 (60,27%) Nel territorio vibonese, su 11.579 elettori, i votanti furono 9.769. Alla Monarchia andarono 7.394 voti con una percentuale del 75,68%, alla Repubblica 1.827. Nei comuni dell’attuale provincia di Vibo Valentia, dunque, che allora facevano parte della provincia di Catanzaro, prevalse la Monarchia  con percentuali altissime (Vibo 75,68%; Pizzo 75,21%; Tropea 85,69%); a Serra San Bruno si registrò un risultato di sostanziale parità (50,03%) . Vinse la Repubblica soltanto a Pizzoni, Rombiolo e Vallelonga.

A livello nazionale, in generale, le operazioni furono molto lente e i risultati definitivi arrivarono solo il 10 giugno, dopo ben 8 giorni dalla chiusura dei seggi. Il 18 giugno, dopo la proclamazione dei risultati, Umberto II compie una chiara scelta di responsabilità che gli va riconosciuta: lascia volontariamente l’Italia partendo per l’esilio in una località del Portogallo, una scelta presa per evitare ulteriori violenze. Forse pensava che si sarebbe trattato di un allontanamento temporaneo, ma la XIII disposizione finale della Costituzione, entrata in vigore nel 1948, gli impedirà il ritorno in Italia. La durata del suo regno era stata di appena un mese, da qui l’appellativo di “Re di maggio” che gli fu attribuito. Era salito al trono il nove maggio, dopo l’abdicazione di Vittorio Emanuele III che, con quest’ultimo atto, aveva sperato di salvare l’istituzione monarchica. L’abdicazione di Vittorio Emanuele III in favore del principe Umberto fu una mossa quanto mai azzeccata. La fuga a Pescara del re e degli alti comandi dell’esercito, dopo l’8 settembre, era stata vista come un atto di viltà. Era stato allora che era iniziato il processo alla Monarchia, ma in quei tre anni, grazie alla figura di Umberto, riservato e signorile, ci fu una rimonta che avrebbe portato oltre dieci milioni di voti a favore dei Savoia.

L’affermazione della Monarchia nel Mezzogiorno si deve a tanti fattori, sui quali è ancora aperto il dibattito degli storici. Il 20 maggio di quell’anno, poco prima del referendum, Pietro Nenni scriveva: «Sono rientrato stanco morto dopo un giro di propaganda elettorale in Calabria. Si teme che il Mezzogiorno dia un’alta percentuale di voti ai monarchici. Vi contribuiscono molti fattori e in primo luogo la Chiesa, che nel sud è decisamente monarchica. Eppure le condizioni di vita dei braccianti e dei contadini sono terrificanti. In alcuni paesi non c’è una scuola degna di questo nome, non c’è ospedale, i contadini vivono in tuguri trogloditici, i bimbi sono scalzi e stracciati, le donne a quarant’anni sembrano vecchie. Una desolazione. È possibile la democrazia finché le distanze sociali rimangono al livello attuale?».

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