«Scuola e Pnrr: nessun coinvolgimento, quando servirebbe affidare la gestione agli istituti»

Alberto Capria dirigente scolastico

Riceviamo e pubblichiamo un intervento del dirigente scolastico di Vibo Valentia Alberto Capria.

“Non ho nulla contro la tecnologia, i computer non mi spaventano, mi preoccupa quel programma che prevede un computer per ogni studente, come se bastasse introdurre nuove tecnologie per risolvere i problemi che affliggono la nostra scuola”. Inizia così un interessante articolo di Umberto Galimberti.  Il Pnrr prevede interventi per 31 miliardi nell’edilizia scolastica, potenziamento delle strutture, riduzione del tasso di abbandono, revisione reclutamento dei docenti, offerta di formazione tecnica e professionale, riorganizzazione del sistema scolastico, didattica digitale e dotazioni informatiche. Prendiamo in considerazione due aspetti inseriti nel Pnrr: reclutamento/formazione dei docenti ed edilizia scolastica.  Con le dovute eccezioni, al netto di latitudini e collocazioni geografiche, alcuni docenti sono molto preparati sui contenuti disciplinari e poco sugli strumenti didattici; nei paesi anglosassoni si dice “concentrati più sul teaching (insegnamento) che sul learning (apprendimento). Risentono cioè di una sorta di impostazione “gentiliana” per la quale si presume che se si conoscono le cose, le stesse si sanno anche insegnare. [Continua in basso]

La preventiva formazione sulle competenze didattiche non è parte del percorso dei docenti, che devono possedere, oltre alla laurea disciplinare, il vergognoso requisito dei 24 Cfu!

Di fatto i neodocenti arrivano nelle scuole senza una formazione pedagogica, né metodologica. Il Pnrr prevedrebbe un concorso pubblico per titoli e anzianità, un anno di prova in cui si insegna e si frequentano corsi di pedagogia e didattica. Al termine, il giudizio della scuola su l’anno di prova e la verifica di una commissione esterna. Ottimo: ma per quale motivo la formazione non può essere svolta prima e non contestualmente? Le verifiche a posteriori raramente garantiscono qualità e ripensamenti positivi. E perché non si pensa a modalità di revisione dei piani di studio universitari, per cui chi decide di essere un docente (non di fare il docente) segua specifici percorsi. [Continua in basso]

Le risorse destinate all’edilizia scolastica sono una grande opportunità; gran parte degli edifici scolastici sono obsoleti, hanno problemi di sicurezza ma soprattutto sono strutturati per accogliere un modello didattico ormai superato: ampio ingresso, due piani con corridoi ad “L”, da un lato finestre – raramente con apertura “a scorrimento” spesso ad apertura “normale”- e dall’altra stanze più o meno grandi con dentro un banchi e sedie ed una cattedra; ah, dimenticavo: pc, Lim/schermo smart, ma ciò non influisce sulla fruibilità degli spazi di apprendimento.

La disposizione degli spazi è tarata (nomen omen) sulla “trasmissività” della didattica. Gli insegnanti e gli allievi dovrebbero avere a disposizione ambienti multifunzionali, componibili e scomponibili, versatili, allegri. Temo che gli interventi di edilizia scolastica saranno realizzati senza avere idea delle esigenze didattiche, di come disporre spazi ed ambienti. Se si aggiunge che ai bandi risponderanno gli enti proprietari, i dubbi non diventano legittimi ma dovuti. [Continua in basso]

Le scuole non avranno voce in capitolo, quando invece sarebbe auspicabile che siano attivamente coinvolte. Mi spingo più in là: sarebbe interessante riproporre per gli interventi, il modello Asse II del Pon 2007/13, in cui la gestione fu direttamente affidata alle scuole. Ciò consentirebbe progetti mirati, funzionali, snelli, anche in considerazione della necessaria celerità nell’avvio – 2023 – e nella rendicontazione – 2026: conoscendo i tempi degli enti locali. credo che non saranno pronti, nei tempi prescritti, neanche i progetti preliminari.

Sulla digitalizzazione taccio e concludo come ho iniziato, citando Galimberti: riempiamo le scuole di letteratura, non di computer, tablet, smart TV e smatphone!

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