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Operazione “Outset”: ecco tutti i retroscena dell’omicidio Franzoni a Porto Salvo

Le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia di Vibo e Lamezia, Giampà, Mantella e Moscato, permettono alla Dda di chiudere il cerchio su mandanti ed esecutori

Operazione “Outset”: ecco tutti i retroscena dell’omicidio Franzoni a Porto Salvo

Sono le ore 11.07 del 21 agosto 2002 quando alla centrale operativa del Comando provinciale dei carabinieri di Vibo Valentia arriva una telefonata da parte del vigile urbano Guido Maduli che segnala una sparatoria a Porto Salvo all’altezza del bivio per Triparni. Sul posto si precipitano immediatamente i militari dell’Arma della Stazione di Vibo Marina ed i colleghi della Radiomobile, trovando una Fiat Punto intestata a Carmelo Franzoni, padre dell’ucciso Mario Franzoni. Quest’ultimo non viene trovato nell’auto, mentre il vetro dello sportello anteriore lato guida si presentava infranto. Intanto, alle ore 11.20, all’ospedale di Vibo Valentia giungeva, già esanime, Mario Franzoni, trasportato dal fratello Luciano. Sei i colpi di pistola calibro 9 che hanno attinto la vittima.

Mario Franzoni era tornato a Porto Salvo per le ferie attardandosi nel rientro, tanto che la moglie al momento dell’omicidio aveva già fatto rientro a Mariano Comense. Il ritardo nella partenza era dovuto al recupero di 300 euro che Franzoni doveva percepire da Tommaso Calello (cl. ’60), di Spilinga, quest’ultimo coinvolto nel luglio 2010 nel troncone lombardo dell’operazione “Crimine”.

La carcassa dello scooter con cui è stato consumato l’omicidio è stata invece rinvenuta il 22 agosto in località Troio di Triparni. Il motociclo di marca Aprilia risultato rubato si presentava bruciato e con all’interno del sedile una pistola calibro 7,65, pure questa arsa dal fuoco. Lo scooter era stato rubato in via Popilia a Vibo l’11 agosto 2002.

Le dichiarazioni del pentito Giuseppe Giampà. Il primo a riferire dell’omicidio è stato Giuseppe Giampà, collaboratore di giustizia di Lamezia Terme e già al vertice dell’omonimo clan insieme al padre Francesco, alias “Il Professore”. Giampà spiegava che l’omicidio era stato ordinato da Andrea Mantella e Francesco Scrugli per conto della cosca Lo Bianco. L’autore materiale dell’omicidio, secondo il pentito, sarebbe stato Domenico Giampà che aveva utilizzato una pistola calibro 9 short a nove colpi monofilare. Per portare a termine l’omicidio era stato utilizzato uno scooter guidato da Enzo Giampà, pure lui di Lamezia Terme. In precedenti tentativi non andati a buon fine – secondo le dichiarazioni di Giuseppe Giampà – vi sarebbe stato a bordo dello scooter Domenico Chirumbolo, detto “U Batteru”. Ad avviso di Giuseppe Giampà, il mandato omicidiario di uccidere Mario Franzoni sarebbe pervenuto pure dal boss Carmelo Lo Bianco, detto Piccinni”. In cambio dell’omicidio il gruppo criminale di Mantella e Scrugli avrebbe dovuto ammazzare Pasquale Torcasio, detto “Carrà” o “Ciccio bello”, ed anche Francesco Zagami, entrambi ritenuti esponenti del clan Torcasio di Lamezia Terme, cosca avversaria dei Giampà. Tali ultimi omicidi ai danni dei lametini dovevano essere compiuti – secondo Giuseppe Giampà – da Francesco Scrugli e Salvatore Mantella.

Pasquale Giampà, Raffaele Moscato e Andrea Mantella. Le dichiarazioni di Giampà venivano confermate da Andrea Mantella e Raffaele Moscato. Ma non solo. A fornire un importante contributo alla verità sul fatto di sangue, anche le dichiarazioni di Pasquale Giampà di Lamezia Terme, alias “Mille Lire”. Quest’ultimo ha confessato di aver dato personalmente incarico a Domenico ed Enzo Giampà di compiere l’omicidio. Andrea Mantella, dal canto suo, ha raccontato che l’omicidio gli era stato commissionato da Carmelo Lo Bianco (“Piccinni”), Enzo Barba (detto “Il Musichiere”) e da Franco Barba alla presenza di Paolino Lo Bianco e Francesco Scrugli nel corso di una riunione svoltasi al 501 hotel.

Mantella, a differenza degli altri collaboratori, ha indicato anche le ragioni dell’omicidio da ricercare nel fatto che Mario Franzoni aveva picchiato e poi puntato la pistola e colpito in faccia i figli di Franco Barba, di nome Bruno ed Enzo.

La contropartita di Barba a Mantella. Mantella precisava poi che Franco Barba, a fronte dell’incarico di morte, si era impegnato a costruirgli gratuitamente due villette in località “Cervo” di Vibo Valentia, una per lui e l’altra per Francesco Scrugli, villette che effettivamente furono costruite subito dopo l’omicidio.

Mantella avrebbe quindi dato incarico a Francesco Scrugli di organizzare l’omicidio, chiedendo a Pasquale Giampà, detto “Mille Lire”, di mandargli “due ragazzi dei suoi a Vibo”.

A mantenere i contatti con Enzo Giampà ed Enzo Giampà, una volta arrivati a Vibo al chiosco di frutta e verdura di Andrea Mantella in piazza Dell’Erba, a mantenere i contatti ci avrebbe pensato Francesco Scrugli. Lo stesso Mantella avrebbe concordato con Scrugli di attingere più notizie possibili sulle abitudini della vittima. Cosa “effettivamente fatta grazie al contributo di Paolino Lo Bianco”, il quale avrebbe interpellato “Pino Barba detto Pino Presa che ha una villetta estiva – ha dichiarato il collaboratore – nella zona di Porto Salvo”. Lo stesso Pino Barba, indagato a piede libero, è cugino di Franco Barba. Andrea Mantella dichiarava poi che per compiere l’agguato avevano a disposizione uno scooter che era stato rubato a Vibo Valentia e nascosto “provvisoriamente sotto il ponte dell’Angitola, nel piazzale di Domenico Evalto”.

Il ruolo dei congiunti di Mantella e di Francesco Scrugli. Il collaboratore di giustizia nelle sue dichiarazioni non risparmia neanche il fratello. Agli inquirenti dichiara infatti che Francesco Scrugli aveva preso in prestito la macchina del fratello Nazzareno Mantella per recarsi a Porto Salvo alla ricerca di Mario Franzoni. Compiuto l’omicidio, Francesco Scrugli (che avrebbe consegnato le armi ai sicari lametini) e Salvatore Mantella (cugino di Andrea) avrebbero atteso i killer a Triparni dove, dopo averli recuperati, avevano bruciato la moto.

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