L’autopsia integrata dagli esami balistici offrirà una ricostruzione chiara della dinamica dell’agguato. Lo scenario sullo sfondo, d’altro canto, ora dopo ora si schiarisce sempre di più ai carabinieri di Vibo Valentia che con il coordinamento del pm Corrado Caputo accelerano per chiudere al più presto il caso. L’omicidio del 42enne Massimo Ripepi, in via Regina Margherita, a Piscopio, domenica intorno alle 13, non è un agguato di mafia. Mafioso nello stile, il delitto, e dalla mafia forse tollerato, ma il movente in questo caso viene ricercato nella vita privata della vittima, trucidata a colpi di pistola a pochi metri davanti alla Sala giochi ubicata negli uffici dell’ex circoscrizione comunale. La vittima era un accanito giocatore e la ludopatia sarebbe stata una delle principali cause della fine del suo matrimonio. Allontanatosi da Piscopio, dove viveva con la moglie e i suoi due figli maschi, aveva trovato un’abitazione a Vibo città, in contrada Affaccio, la stessa che il 4 giugno del 2017 fu teatro di un precedente agguato. Reo confesso il più giovane dei suoi due figli adolescenti, processato dal Tribunale dei minori per tentato omicidio, ha ottenuto la messa alla prova in una comunità di recupero per 2 anni e 8 mesi. Sparò – disse ai carabinieri e al pm di Catanzaro – perché stanco dei maltrattamenti che subiva, assieme alla madre, per colpa del padre. (L’articolo prosegue sotto la pubblicità)
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