«Più ci saranno gocce d’acqua pulita, più il mondo risplenderà di bellezza» diceva madre Teresa di Calcutta. Sarà per questo che Vibo Valentia non risplende più da tempo immemore. Da queste parti l’acqua è un problema: ambientale, sanitario, economico, giudiziario, politico. Da qualunque lato la si guardi, la questione in città continua ad alimentare dibattiti e polemiche. A volte fondate, altre strumentali, ma la sostanza resta e fino ad oggi nessuna amministrazione comunale è stata in grado di mutare il corso degli eventi. In questo contesto diventa fondamentale comprendere la nascita e l’evoluzione storica del sistema di approvvigionamento delle acque a Vibo Valentia per giungere a delle soluzioni che toccherà alla futura amministrazione attuare.
ALACO E SORICAL Negli anni ’70 la Cassa del Mezzogiorno avvia la realizzazione dell’imponente diga artificiale dell’Alaco (35 milioni di metri cubi), nel territorio delle Serre vibonesi. L’opera è stata pensata per porre fine all’emergenza idrica che puntualmente, specie nei mesi estivi, interessa questo comprensorio. Da un costo iniziale di circa 15 miliardi di lire si arriva due decenni più tardi, quando viene conclusa, ad assorbirne 150. Nel 2003 nasce Sorical, partecipata a maggioranza dalla Regione Calabria e per il 46,5% dal colosso Veolia, a cui viene affidato il compito, tra il 2005 e il 2006, di gestire le risorse e dare da bere – si fa per dire – agli assetati cittadini vibonesi, dopo avere messo in esercizio il bacino artificiale. Ma i problemi sono tutt’altro che risolti. Non di rado si verificano inconvenienti alla rete, e dai rubinetti inizia a sgorgare acqua gialla e maleodorante. È grazie alla plateale protesta di una donna in vacanza a Vibo che nell’agosto del 2010 inizia una sorta di sommovimento popolare. Le associazioni fanno rete fino a creare un fronte comune in difesa dell’acqua «pubblica e salubre» che interessa molti centri del Vibonese, specie il capoluogo e Serra San Bruno. Partono le prime denunce delle associazioni dei consumatori per via di un servizio ritenuto «pessimo».
FONTI ALTERNATIVE L’inchiesta “Acqua sporca”, nel 2012 e fino ad oggi, solleva il dibattito anche su eventuali fonti alternative all’Alaco, e quindi a Sorical, per l’approvvigionamento idrico a Vibo Valentia così come nel resto della provincia. Molti cittadini, spinti in particolare dal Forum delle associazioni composto da una decina di sodalizi, cominciano ad incalzare le istituzioni affinché ragionino sull’eventualità di tornare allo «schema pre-Alaco», ovviamente con le migliorie attuabili grazie ai progressi raggiunti dall’ingegneria idraulica negli anni. Tra loro, a battersi in prima linea l’ingegnere Tonino D’Agostino: «Il fabbisogno idrico di Vibo, che oggi come vent’anni fa conta circa 33mila abitanti, è grosso modo di 100 litri al secondo. Nello schema pre-Alaco l’acqua veniva fornita in parte da sorgenti e fluenze superficiali esistenti nell’impluvio naturale da cui nasce il fiume Alaco ed in parte da vari pozzi ricadenti nel territorio comunale». A suo dire, dunque, l’acqua captata in superficie unita a quella proveniente dai pozzi, e poi trattata a dovere da un impianto di potabilizzazione, sarebbe «ampiamente sufficiente» a soddisfare il fabbisogno della città, anche perché dal bacino artificiale Vibo riceve circa «il doppio della portata necessaria» ed il prezzo «viene pagato per intero» malgrado buona parte finisca in una «rete colabrodo che di fatto la disperde e ne aumenta le contaminazioni».
ACQUA COME ORO Lo stato di salute – pessimo – della rete si intreccia inevitabilmente con quello, doloroso, del costo dell’acqua. Una vera e propria piaga per l’amministrazione comunale. È stato accertato che la Sorical fattura al Comune, mediamente, 6 milioni di metri cubi di acqua all’anno, che equivalgono a quasi 1,8 milioni di euro che Palazzo Razza versa nelle casse della società regionale. Ebbene, annualmente il Comune incassa dai cittadini circa 600mila euro, ovvero un terzo di quanto ha pagato (o meglio, pagherà). Ed è proprio qui che si inceppa il meccanismo: la Sorical mette in circolo mediamente 200 litri di acqua al secondo, quando ne basterebbero 100; quella che arriva effettivamente nei rubinetti dei vibonesi è meno della metà, ma viene pagata per intero. Ne consegue che il 65% circa viene pagata a vuoto. Di questa percentuale, secondo le stime degli uffici comunali, almeno la metà è dovuta all’evasione fiscale. E la frittata è fatta. L’evasione è un tema ricorrente, in politica ma non solo. Ed è un tema, unito a quello della salubrità, su cui si è battuto in ogni sede il Codacons, grazie al lavoro dell’avvocato Claudio Cricenti: «Negli anni – ricorda – abbiamo presentato istanze, esposti, denunce. Ai vibonesi è stato negato per troppo tempo il diritto ad un’acqua pura, è stato chiesto per troppo tempo di pagare un prezzo salato per un servizio scadente». Un servizio che, ancora troppo frequentemente come si è visto appena un paio di settimane fa con la città a secco per due giorni, continua a non essere all’altezza.
In definitiva, quelli dell’acqua sono numeri che fanno ben comprendere quanto grande ed importante sia la questione. E quanto necessario sia l’impegno massimo cui è chiamata la prossima amministrazione comunale. Perché l’acqua, a Vibo Valentia, continua ad essere un problema che nessuno ha saputo – o voluto – risolvere.