giovedì,Aprile 25 2024

Rinascita Scott: Mangone svela i progetti di morte ai danni di Gratteri e dei pm attribuendoli a Ferrante

L’imprenditore di Vibo Valentia detenuto insieme al cosentino nel carcere di Siracusa. Indagini in corso su telefonini fatti entrare in carcere

Rinascita Scott: Mangone svela i progetti di morte ai danni di Gratteri e dei pm attribuendoli a Ferrante
Nicola Gratteri

“Quando sarà il momento, al momento giusto faremo fare una brutta fine a Gratteri e ai suoi collaboratori. Noi siamo nati prima e comandiamo noi, non siamo finiti”. Sono le parole che il collaboratore di giustizia Antonio Genesio Mangone – deponendo pomeriggio nel processo Rinascita Scott – ha attribuito al detenuto Gianfranco Ferrante di Vibo Valentia, nel corso dell’esame dinanzi al Tribunale collegiale di Vibo Valentia. “Noi siamo una potenza, non siamo mica morti e con tempo tutti questi pm e collaboratori la pagheranno e faranno una brutta fine. Se non lo hanno fatto loro lo facciamo noi perché la ‘ndrangheta è nata prima della legge. In Calabria comandiamo noi ed è sempre stato così”. Queste le altre dichiarazioni che il collaboratore Mangone ha attribuito a Gianfranco Ferrante il quale, unitamente all’altro detenuto Michelangelo Barbieri, alla presenza di Mangone avrebbe manifestato tutta la sua preoccupazione per l’azione intrapresa dalla Dda di Catanzaro. “Siamo nella merda perché la Procura di Catanzaro e Gratteri portano cose concrete e i collaboratori di giustizia stanno dicendo la verità. Ferrante diceva – ha riferito Mangone – di essersi pentito di aver fatto il processo con rito ordinario perché sosteneva che se faceva l’abbreviato avrebbe fatto meno anni di carcere”. Ad assistere a tali dialoghi – stando al racconto di Mangone – oltre a Ferrante e Michelangelo Barbieri di Pannaconi di Cessaniti – ci sarebbe stato anche il detenuto Salvatore Bonavota di Sant’Onofrio (anche lui imputato in Rinascita Scott). [Continua in basso]

Michelangelo Barbieri

Sull’ex parlamentare di Forza Italia, Giancarlo Pittelli, imputato nel processo, il collaboratore Mangone ha confermato quanto dichiarato a verbale aggiungendo che lo stesso Pittelli ad avviso di Ferrante, dagli arresti domiciliari poteva “telefonare e agire direttamente per risolvere i problemi del clan Mancuso e doveva uscire da questo calderone per andare a fare ciò che ha sempre fatto”. Sia Ferrante che Michelangelo Barbieri, detenuti a Siracusa, ad avviso di Mangone sarebbero riusciti a comunicare con l’esterno attraverso “cellulari piccolini, parlando nel bagno della celle chiamando due o tre volte a settimana”.

Gianfranco Ferrante, 59 anni, di Vibo Valentia, si trova sotto processo per associazione mafiosa, tentata estorsione, usura, turbativa d’asta e concorso in intestazione fittizia di beni.
Michelangelo Barbieri, 30 anni, di Pannaconi di Cessaniti, è il nipote del boss di Zungri Giuseppe Accorinti. Risponde del reato di associazione mafiosa ed avrebbe collaborato direttamente e personalmente, con compiti esecutivi, alla realizzazione degli scopi dell’associazione, contribuendo al controllo del territorio, svolgendo un ruolo attivo nel contrasto con i vicini gruppi rivali, compiendo azioni delittuose come estorsioni e detenzione di armi. Michelangelo Barbieri avrebbe inoltre svolto un ruolo anche nella detenzione e spendita di monete false, coadiuvando i vertici del clan nel settore della commercializzazione di bestiame con modalità illecite. Salvatore Bonavota è invece accusato del reato di associazione mafiosa quale elemento dell’omonimo clan di Sant’Onofrio.

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