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Il posto di blocco che fermò la vendetta dei cugini Loielo contro Domenico Zannino. Il collaboratore: «Ci abbiamo provato tre volte»

Walter Loielo ha parlato nel processo Maestrale. I racconti dell’accordo per lavare col sangue il duplice omicidio dei fratelli Giuseppe e Vincenzo. Lo scambio di favori con Rocco Tavella, l’appostamento vicino alla caserma di Soriano armati di Ak-47

Il posto di blocco che fermò la vendetta dei cugini Loielo contro Domenico Zannino. Il collaboratore: «Ci abbiamo provato tre volte»
L'aula bunker di di Lamezia. Nel riquadro, Domenico Zannino

Un agguato, armati con Ak-47 e fucile automatico, per uccidere Domenico Zannino considerato implicato nell’omicidio dei fratelli Giuseppe e Vincenzo Loielo avvenuto nel 2002. Era questo il piano nel quale era stato coinvolto anche Walter Loielo nel 2013. Un piano che fallì per tre volte, come ha raccontato lo stesso collaboratore di giustizia nel corso del processo Maestrale. Ma procediamo con ordine.

Ha fatto parte della ‘ndrangheta «dal 2012 al 2020» Walter Loielo il quale, quando ha deciso di collaborare con la giustizia ha, per prima cosa, fatto ritrovare il corpo di suo padre, Antonino Loielo, sepolto in una zona impervia nelle campagne della frazione Ariola di Gerocarne. Per questo delitto, avvenuto nel 2017 e scoperto solo con la confessione del pentito, Walter Loielo è stato condannato a 20 anni di reclusione.
L’omicidio di suo padre, per ragioni di carattere familiare, è il primo dei diversi reati dei quali si è autoaccusato il collaboratore che oggi è stato interrogato dal pubblico ministero della Dda di Catanzaro nell’ambito del processo Maestrale.

La faida della famiglia Loielo

Collegato con l’aula bunker di Lamezia Terme, Loielo ha raccontato di aver partecipato a tre tentativi di agguato per uccidere Domenico Zannino (estraneo al processo in corso). Era il 2013 e Walter Loielo era stato coinvolto nel progetto del cugino Rinaldo Loielo di vendicare l’assassinio dei fratelli Giuseppe e Vincenzo Loielo avvenuto nel 2002.
Una faida che dal 2002 ha attraversato diverse tappe, compresa quella, nel 2015 di un agguato nel quale rimase ferito lo stesso Walter Loielo che si trovava in compagnia dei cugini Rinaldo e Valerio Loielo, figli dei defunti Giuseppe e Vincenzo.

Delitto per delitto

Nel 2013 il cugino Rinaldo – ha raccontato il collaboratore – gli ha presentato Rocco Tavella, di San Giovanni di Mileto, dicendo che li avrebbe aiutati ad uccidere Domenico Zannino. Rinaldo aveva anche raccontato al cugino che a San Giovanni di Mileto era stato assassinato Giuseppe Prostamo, parente di Tavella, e che quest’ultimo aveva chiesto a Rinaldo Loielo di aiutarlo a compiere la vendetta. «Non so dire chi era la vittima predestinata. Rinaldo mi disse solo che aveva aiutato Rocco Tavella e per questa ragione Rocco Tavella avrebbe aiutato noi».

Armati di Ak-47 e fucile automatico

Nel giro di un mese i Loielo tentarono tre volte, invano, di colpire Zannino. In una di queste occasioni c’era anche Rocco Tavella. Loielo ricorda che all’agguato partecipò anche Vincenzo Raimondo, zio di Rinaldo, con il quale Walter Loielo andò a recuperare le armi per l’omicidio – un Ak-47 e un fucile automatico – lungo un sentiero fuori dal paese di Soriano, «in un terreno tra Sant’Angelo e Soriano».
In seguito i due sono andati «al campo di calcetto dove ci hanno raggiunto Rinaldo e Rocco Tavella, accompagnati da Filippo Pagano (cognato di Rinaldo, ndr)».

Il posto di blocco e l’agguato fallito

A bordo di una Fiat Uno celestina rubata, Rinaldo Loielo, Walter Loielo e Rocco Tavella si erano appostati vicino a un ponte – prosegue il racconto del collaboratore – che collega Soriano a Sant’Angelo di Gerocarne, non lontano dalla caserma dei carabinieri. L’intento era quello di assalire l’auto di Zannino mentre tornava a casa dopo essere stato in piazza a Soriano. La vittima era monitorata da Filippo Pagano il quale, a un certo punto, avverte il commando dell’esistenza di un posto di blocco dei carabinieri vicino al luogo dell’agguato. Il gruppo decide di desistere. «Quella sera non abbiamo fatto niente – racconta il teste – abbiamo preso la macchina ed eravamo andati a ucciderlo dove abitava».
Falliti i tentativi di far fuori Domenico Zannino, la macchina era rimasta a Walter Loielo che l’aveva portata a Sant’Angelo e bruciata dopo qualche giorno in terreno fuori dal paese.

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