La Suprema Corte conferma la condanna nei confronti del professionista vibonese. Dovrà risarcire la parte civile con 22mila euro
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La seconda sezione penale della Cassazione ha respinto il ricorso straordinario di Antonio Preiti, 73 anni, di San Calogero, avverso una precedente pronuncia della Suprema Corte. Nascondendo ad una cliente di essere stato radiato dall’Albo degli avvocati fin dal 2001, Antonio Preiti era accusato di aver continuato a esercitare la professione, assistendo una donna in un contenzioso davanti alla Commissione tributaria di Como, dal 2013 al 2017.
Antonio Preiti, di San Calogero, ma domiciliato a Milano, è stato così condannato a 800 euro di multa e al risarcimento alla parte civile quantificato in quasi 22mila euro. La donna fin da subito era stata rassicurata circa la buona possibilità di risolvere positivamente la sua causa. Più volte aveva incontrato il sedicente legale al McDonald’s di Lainate, a dire di lui per agevolarla e non costringerla a inoltrarsi nel traffico milanese. La sentenza di condanna per il reato di esercizio abusivo della professione di avvocato era stata emessa in primo grado dal Tribunale di Como il 9 gennaio 2023 ed era poi stata confermata dalla Corte d’Appello di Milano. Il 30 ottobre 2024 era quindi arrivato il verdetto di conferma anche ad opera della Suprema Corte. Contro tale ultima decisione si è registrato il ricorso straordinario in Cassazione da parte di Antonio Preiti che è stato però ora ritenuto inammissibile.
I giudici ricordano infatti che il ricorso straordinario avverso i provvedimenti della Corte di Cassazione è ammesso solo per errore materiale ed errore di fatto, presupposti che nel caso di specie non si sono verificati in quanto appare “palese come in nessuno dei motivi di ricorso siano stati evidenziati errori attinenti all'estrinsecazione grafica della volontà della Sesta sezione penale della Cassazione, con la conseguenza che le censure sollevate con gli stessi motivi esulano dall'ambito della nozione di errore materiale”. Per i giudici, Antonio Preiti ha “sostanzialmente riproposto un'ulteriore e non consentita impugnazione ordinaria, deducendo degli errori di valutazione - talora anche degli elementi probatori (errori che dovevano essere fatti eventualmente valere, qualora risoltisi in un travisamento del fatto o della prova, nelle forme e nei limiti dell'impugnazione ordinaria) - e di giudizio, o degli errori di diritto che sarebbero stati compiuti dalla stessa Sesta sezione, cioè degli errori rispetto ai quali resta fermo il principio dell'inoppugnabilità dei provvedimenti della Corte di cassazione”. Da qui l’inammissibilità del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di tremila euro in favore della cassa delle ammende.

