Deceduto nel carcere di Parma, dove da tempo di trovava recluso, Antonio Altamura, 79 anni, di Ariola di Gerocarne, che stava scontando una condanna definitiva a 16 anni nel processo nato dall’operazione della Dda di Catanzaro denominata “Luce nei boschi”. Nell’aprile scorso, la Cassazione aveva respinto la revoca della sentenza di condanna confermando l’ordinanza resa il 7 ottobre 2024 dal Tribunale di Vibo Valentia – in funzione di giudice dell’esecuzione – in quanto ritenuto inammissibile. Era stato condannato anche a 4 anni e 6 mesi dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria (sentenza poi confermata dalla Cassazione) per l’operazione “Crimine”.  Antonio Altamura è stato riconosciuto dalle sentenze quale capo indiscusso del “locale” di ‘ndrangheta di Ariola di Gerocarne, mentre nella sentenza “Crimine” è stato ritenuto colpevole del reato di associazione mafiosa (sino al 21 marzo 2011) in quanto in contatto con la “Società di ‘ndrangheta” di Rosarno. In tale doppia veste, Antonio Altamura è stato ritenuto personaggio di primo piano della ‘ndrangheta (con il suo nome usato per le “copiate” nei riti di affiliazione dei nuovi affiliati) in grado di dialogare sia con i più blasonati boss di Rosarno (Domenico Oppedisano su tutti), sia con quelli di San Luca. Al suo fianco, senza mai metterne in discussione il ruolo, avrebbero alternativamente operato – quale braccio-armato – prima il clan dei Loielo e poi quello degli Emanuele.

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