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Resta rigettata l’istanza presentata da Salvatore Mancuso, 58 anni, di Limbadi, da un paio di anni residente in Lombardia, precisamente a Giussano, diretta ad ottenere l’applicazione della disciplina del reato “continuato in executivis” in relazione a cinque sentenze di condanna. La Suprema Corte ha infatti respinto il ricorso di Mancuso confermando l’ordinanza del Tribunale di Monza quale giudice dell’esecuzione. Secondo Salvatore Mancuso, la documentazione dallo stesso allegata nel ricorso – provvedimento del Tribunale misure di prevenzione di Monza, del 2012, e ordinanza di custodia cautelare del gip di Catanzaro, del 2010 – avrebbe consentito di unificare le condotte delittuose di cui alla richiesta, in quanto parte di un programma complessivo volto al perseguimento di uno scopo unitario, atteso che nel 1999 Salvatore Mancuso si trasferiva da Limbadi in Lombardia “proprio con il fine di costituire un cartello criminale nel settore delle estorsioni, degli stupefacenti, dell’usura e delle armi”.
Ha quindi lamentato che il Tribunale di Monza si è “soffermato esclusivamente sul dato temporale delle singole condotte e non ha considerato la possibilità di concedere il beneficio quantomeno per una parte delle condanne. Rileva, al riguardo, che le estorsioni commesse da Salvatore Mancuso nel 1999, di cui alla sentenza del Tribunale di Lamezia, risultano perpetrate in concorso con Filippo Carrà, così come i delitti in materia di stupefacenti commessi nel 2000, di cui alla sentenza del gup del Tribunale di Monza”. Mancuso ha poi lamentato che “al coimputato dei medesimi fatti risultano essere state unificate dette condotte in sede esecutiva”.
Le ragioni della Cassazione
Secondo la Suprema Corte, va esclusa nel caso di Salvatore Mancuso “l’unicità del disegno criminoso poiché non sussiste alcun elemento per ritenere che, a far tempo dal 1999, momento in cui è stata commessa la prima tentata estorsione, vi sia unicità con i successivi reati commessi a distanza di un rilevantissimo arco temporale – 1999, 2001, 2006 e 2011 -, essendo il tempo trascorso tra ciascuno dei fatti oggetto delle sentenze particolarmente consistente e incompatibile con qualsiasi accezione di continuità cronologica o contesto temporale unitario”.
Il figlio del patriarca

Salvatore Mancuso è figlio di Ciccio Mancuso, ritenuto il capo storico della “famiglia”, deceduto il 17 agosto 1997 per un male incurabile.
Si tratta dello stesso Francesco, “Ciccio”, Mancuso, che nel 1983 si candidò alla carica di consigliere comunale nel Comune di Limbadi risultando il secondo degli eletti pur essendo all’epoca latitante. L’allora presidente della Repubblica, Sandro Pertini, appresa la notizia, sciolse d’autorità quel Consiglio comunale subito dopo le elezioni impedendone l’insediamento. Si trattò del primo scioglimento per mafia in Italia di un Consiglio comunale, pur non esistendo all’epoca una legge sullo scioglimento per infiltrazioni mafiose degli enti locali. Salvatore Mancuso è stato condannato dal Tribunale di Monza anche per i reati di usura, narcotraffico stupefacenti e detenzione illegale di un consistente arsenale di armi da guerra rinvenuto in un box di Seregno.
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