Lo storico Antonio Montesanti ricostruisce l’episodio del 1668 che diede origine all’iscrizione “Intacta iacui, percussa steti”: un simbolo di libertà e dignità civile
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“Intacta iacui, percussa steti” (Giacqui intatta, percossa mi rialzai). Questa l’iscrizione in latino scolpita alla base della colonna che da secoli si trova in piazza della Repubblica a Pizzo. Una locuzione incisa sulla pietra che, usando un termine oggi di moda, si potrebbe identificare con il concetto di “resilienza”. E c’è anche una data e un nome: 1668, Ioseph De Caro sindicus. La città di Pizzo, nella Calabria Ulteriore, faceva allora parte del Regno di Napoli che era affidato al governo di un Viceré. In quel periodo era in carica Pedro Antonio de Aragòn, nominato da Carlo II di Spagna. Ma cosa avvenne nella cittadina tirrenica in quel lontanissimo anno, al punto da decidere di tramandarlo ai posteri? Lo spiega lo storico Antonio Montesanti, che ricostruisce l’avvenimento in seguito al quale venne decisa l’erezione di una colonna ad imperitura memoria, posizionandola nella famosa piazza.
«Per tanto tempo si è creduto che queste parole incise nel 1668 raccontassero soltanto di terremoti. Ma se invece parlassero del risveglio dell’anima di un popolo? Oggi sappiamo che in quell’anno la terra non tremò. Sappiamo però che in quell’anno fu la coscienza civile a scuotersi. Fu il momento in cui la comunità pizzitana, colpita da un’ingiustizia feudale, trovò il coraggio di rialzarsi. Giacqui intatta, colpita mi alzai. Non la cronaca di una scossa tellurica dunque, ma il racconto di una rinascita. Finché tutto taceva, la città rimase immobile. Quando la ferita divenne più profonda, trovò in sé la forza di reagire. Un messaggio che attraversa i secoli e ancora oggi ci parla: la libertà non nasce dal silenzio, ma dalla prova. L’ingiustizia può ferire, ma può anche risvegliare. E così, quel motto antico non celebra la paura, ma la dignità, la forza e la voce di un popolo che seppe rialzarsi».
Montesanti racconta, a questo punto, l’avvenimento storico da lui ricostruito in base ad una minuziosa ricerca: «È infatti nel 1668 che la comunità di Pizzo, guidata dal sindaco, don Giuseppe De Caro, pose fine ad una condizione di vera e propria “schiavitudine” e scelse con fermezza di non sottomettersi più all’autorità del governatore Hatì, denunciandone i soprusi all’autorità giudiziaria dell’epoca.
L’episodio trova testimonianza in una preziosa lettera di ringraziamento che don Giacomo Caro inviò, il 20 settembre 1668 a Sua eccellenza Don Felice Lanzina y Ulloa, presidente del Sacro Regio Consiglio, organo giudiziario a composizione collegiale, carica equivalente all’attuale presidente della Corte di Cassazione. Una lettera che oggi è custodita nella Biblioteca Nazionale di Napoli in cui viene denunciata l’oppressione del governatore, sostenuto da una cerchia di complici e responsabile di abusi e maltrattamenti. La lettera è firmata dai rappresentanti della città: Giacomo Caro, Domenico Briga, Antonio Di Caro. Grazie all’intervento del giudice, il governatore venne rimosso dal suo incarico e al suo posto fu nominato Don Sebastiano, uomo di zelo, carità e buon governo, vicino al popolo e attento ai poveri. Tanto che la città, finalmente in pace, decise di inviare una delegazione in Spagna per ringraziare il Duca. Un atto impensabile ai tempi del Viceregno Spagnolo, quando le città avevano poteri limitatissimi rispetto all’autorità feudale. Eppure Pizzo vinse una battaglia morale e civile, conquistando libertà e dignità. Un atto di coraggio collettivo che permette oggi di rileggere in modo più profondo il motto inciso sul monumento cittadino, simbolo di libertà e dell’identità pizzitana. I monumenti eretti in pietra servono proprio a questo, a tramandare episodi luminosi da ricordare, per recuperare la memoria e custodire le radici del nostro presente. Riuscite ad immaginare per un attimo il momento in cui la comunità innalzò questo monumento al centro del paese, dopo essersi conquistata un più giusto destino affrontando un’autorità dispotica… con fiducia nella Giustizia! Una carica di fiducia riconquistata che emerge con forza dalla lettera inviata al presidente del Sacro Regio Consiglio, in cui il sindaco non manca di invitare l’illustre giudice in città».
«Questo frammento di memoria - conclude Montesanti - invita dunque a non smettere mai di studiare per riscoprire la storia di Pizzo con perseveranza, orgoglio e consapevolezza, affinché il suo spirito identitario non vada mai perduto. Una pagina di storia che parla di coraggio, giustizia e libertà».

