È come quando togli la chiave di volta, la pietra centrale di un arco in pietra: se viene via, crolla tutto. E la chiave di volta della sanità vibonese è, in questo momento, un urologo “di periferia”, Alberto Ventrice, che insieme al collega Luca Cosentino tiene su il reparto di Urologia dell’ospedale di Tropea, che serve l’intera provincia vibonese. Ventrice ha detto basta, me ne vado. Ha imbucato una lettera di dimissioni indirizzata all’Asp di Vibo e si è dimesso. Arrivederci e grazie, così non si può continuare.

«Noi siamo chirurghi – spiega Cosentino – che senso ha restare se non puoi operare?». Ma per operare ci vogliono anestesisti e a Tropea ce n’è uno solo, quello di “base” che serve l’intero ospedale e, soprattutto, consente al Pronto soccorso di restare aperto. Ma niente interventi programmati, nessuna possibilità di dare un seguito terapeutico all’attività ambulatoriale.

«Siamo solo in due – continua Cosentino, collega di Ventrice – ma cerchiamo di gestire con continuità l’attività in tutto l’arco della giornata, assicurando anche la reperibilità per le urgenze, tranne che per il Pronto soccorso di notte. D’altra parte non sarebbe possibile immaginare di restare in ospedale 24 ore su 24. Chiediamo da tempo due anestesisti che possano consentirci di operare i pazienti che si rivolgono a noi, ma finora non c’è stata risposta da parte dell’Asp e la sala operatoria resta chiusa. Questo significa non poter dare risposte ai cittadini che si rivolgono a noi. Capisco dunque l’esasperazione del collega, anche se so poco della sua lettera, perché ho appreso delle sue dimissioni quando sono tornato dal “riposo biologico” (un obbligatorio periodo di astensione dal lavoro per gli operatori sanitari esposti a rischi specifici, come quello radiologico, ndr)».

Una frustrazione professionale insostenibile a lungo andare. Era già successo la scorsa primavera con il primario di Ginecologia dello Jazzolino, Vincenzo Mangialavori, che si dimise clamorosamente con una lettera pubblica dai toni durissimi, con la quale esponeva le gravissime criticità dell’ospedale vibonese, «che rendono impossibile, secondo coscienza, proseguire nell’attività con la serenità e la sicurezza che il nostro lavoro richiede». Una denuncia dirompente, che arrivò all’indomani di due casi che avevano fortemente scosso l’opinione pubblica: la morte di una 32enne di Pizzo, Martina Piserà, al settimo mese di gravidanza, e la denuncia di una donna straniera originaria del Mali che perse il suo bambino al 5° mese di gestazione.

In quel caso, alla fine, il medico ritirò le dimissioni dopo aver ottenuto dall’allora commissario Vittorio Piscitelli la garanzia che le sue istanze, relative soprattutto alla mancanza di macchinari, sarebbero state accolte.
Ora ci risiamo: un medico fondamentale nella già asfittica pianta organica vibonese è pronto a lasciare perché la misura è colma. Toccherà ora a un nuovo commissario, Gianfranco Tomao, cercare di ricucire, ma il copione sembra identico.

«Sono in viaggio, sto raggiungendo Vibo - dice Tomao al telefono -. Ho saputo delle dimissioni del dottor Ventrice ma non so altro. Domani (oggi, ndr) leggerò la lettera. Sto cercando di capire cosa sia successo, ma per ora non ho nulla da dire perché non conosco la questione che affronterò una volta a Vibo».

Chi la “questione” ce l’ha chiara è Giuseppe Rodolico, stimatissimo urologo tropeano in pensione da meno di un anno. Lui quell’ospedale lo conosce bene. «Una struttura in agonia – dice senza mezze misure -. Se vuoi far morire qualcuno non c’è bisogno di colpirlo, basta non dargli più da mangiare e morirà da solo. Ecco, mi viene in mente questo quando penso all’ospedale di Tropea. Senza Ventrice non ci sono speranze per il reparto di Urologia. Senza di lui chiuderà, come sta avvenendo per altri servizi. L’Asp non ha mai risposto alla richiesta di inviare due anestesisti che potessero svolgere due turni di 6 ore ciascuno, magari anche solo per due volte a settimana. Basterebbe questo a garantire un’attività operatoria che ora non si può fare. E senza interventi chirurgici un reparto di Urologia semplicemente non esiste».

La chiosa finale Rodolico la riserva al convitato di pietra: la politica. Perché non è solo una questione di Asp, di commissari, di dirigenti. È soprattutto una questione politica: «C’è grande amarezza nel costatare che nessuno si fa carico politicamente dell’ospedale di Tropea. Eppure dovrebbe essere prioritario occuparsene, soprattutto in un’ottica complessiva che riguarda anche la tutela della risorsa turistica. Perché Tropea è bella, ma senza ospedale, senza un’assistenza sanitaria all’altezza della sua fama, è molto meno attrattiva anche per chi qui non ci vive».