Lo storico Antonio Montesanti ripercorre nascita e sviluppo di una struttura produttiva che precede di secoli gli altri insediamenti tonnaroti del territorio
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È del 1081 il primo documento che testimonia l’esistenza di una tonnara in Calabria. Una data che segna l’ingresso della Tonnara di Bivona nella storia della pesca del tonno nel Mediterraneo. A ricostruirne le origini e lo sviluppo è lo storico Antonio Montesanti, che parla di «una delle prime strutture organizzate per la pesca del tonno dell’Italia meridionale».

«Si tratta di un documento prezioso – spiega Montesanti – consistente in un privilegio emanato da Ruggero il Normanno a favore dell’Abbazia di Mileto. Nel testo, tra i beni concessi ai monaci, compare una frase che non lascia dubbi: Bibona è donata cum portu suo, ac tunnaria, et omnibus pertinentiis (con il suo porto, la sua tonnara e tutte le pertinenze). Non è un dettaglio marginale: significa che la Tonnara di Bivona è la prima pesca del tonno documentata in Calabria, già attiva in pieno XI secolo».
«Ovviamente non è un caso – osserva ancora Montesanti – che quell’area produttiva corrisponda a quella che, in epoca greca e romana, viene indicata da Archestrato o Apicio come Golfo Ipponiate, dove veniva pescato il tonno migliore del Mediterraneo. Mentre Pizzo ancora non esisteva, a Bivona c’era già un mondo fatto di barche, maestranze, reti e famiglie specializzate in una pesca complessa e altamente tecnica».
Nei documenti del 1101 il luogo è citato come Bibona et portu tunnaria, mentre nel 1139 viene confermata l’immagine di un centro articolato: «Tenuta di Bivona, con il suo porto e la vicina tonnara».
Sono queste le prime testimonianze storiche che parlano chiaramente di un insediamento di tonnara e tonnaroti in Calabria.
«Una pergamena dell’Abbazia di Mileto del 1181 – rimarca lo storico – descrive dettagliatamente la posizione del “palo” della tonnara, ossia il diritto di occupare uno specchio d’acqua per installare una trappola di reti. Non solo: vengono anche documentati i primi conflitti legati alla proprietà dell’impianto. La tonnara venne addirittura divisa in due: metà al Vescovo e metà all’Abate, aprendo una lunga stagione di dispute che si intrecciarono con la futura nascita della città di Monteleone».
Nel 1365 la regina Giovanna d’Angiò interviene per confermare i diritti dell’Abbazia, richiamandosi alla donazione originaria del conte Ruggero.
Dal XVI secolo la gestione passa ai Pignatelli, duchi di Monteleone, dietro il pagamento di un fitto di 15 ducati l’anno e una rendita di un cantaro di tonno. Nel frattempo, tra il XIV e il XVI secolo compaiono anche altre tonnare: Parghelia (Bordilà), Sant’Irene e Briatico (Rocchetta) verso sud, e Santa Venere e Pizzo verso nord.
Il sistema si espande e si raffina, diventando sempre più centrale nell’economia dell’aristocrazia locale: dai Pignatelli ai Caracciolo, fino ai De Silva y Mendoza.
Se la tradizione del tonno a Pizzo fiorisce tra Ottocento e Novecento, la storia affonda però le radici quattro secoli prima: tutto parte da Bivona, dove l’epopea della pesca del tonno in Calabria ha inizio quasi mille anni fa.

