martedì,Ottobre 8 2024

Pizzo, Paolillo (Wwf) interviene sul ritrovamento di bustine con veleno per topi

Per il naturalista quanto accaduto nel comune costiero a distanza di poco tempo dalle operazioni di derattizzazione impone alcune riflessioni

Pizzo, Paolillo (Wwf) interviene sul ritrovamento di bustine con veleno per topi
Pino Paolillo

“L’allarme suscitato dal ritrovamento di bustine contenenti veleno per topi nel centro di Pizzo a distanza di poco tempo dalle operazioni di derattizzazione annunciate dal Comune, e la cui diffusione sarebbe ad opera di anonimi “cittadini”, si fa per dire, impone alcune riflessioni su quanto accaduto, sottolineando che la  legge impone che le derattizzazioni debbano essere effettuate con “modalità tali da non nuocere in alcun modo”  alle persone e alle specie animali diverse da quelle bersaglio, cioè i topi e i ratti”. Così Pino Paolillo, naturalista settore conservazione Wwf Vibo Valentia/vallata dello Stilaro. “Una premessa però è necessaria e riguarda l’efficacia di dette operazioni, specialmente se non si elimina la causa principale della presenza dei ratti (Rattus norvegicus) la temibile pantegana, e cioè le fonti alimentari rappresentate in ambito urbano dai rifiuti domestici. Se è vero come è vero che i pizzitani da qualche anno, grazie alla raccolta differenziata, non sono più costretti ad assistere alle orripilanti scene di frotte di enormi “zoccole” saltare fuori dai cassonetti dell’immondizia in pieno giorno sulla via Nazionale, è altrettanto innegabile che in molti casi i rifiuti organici non opportunamente conferiti e non rimossi, continuano ad attirare i temibili roditori. Così come alcune aree, specie in periferia, vivono una condizione di degrado e di abbandono che favorisce l’insediamento di popolazioni murine come zone di rifugio che invece dovrebbero essere eliminate. Se non si adottano pertanto le succitate strategie di difesa preventiva, le stesse operazioni di derattizzazione il più delle volte a base di veleni contenenti sostanze anticoagulanti che, per contrastare la nota diffidenza della specie verso cibi nuovi (neofobia) provocano emorragie nei ratti a distanza di giorni dall’ingestione, rischiano di tramutarsi in interventi temporanei e non risolutivi. I ratti infatti – prosegue l’intervento di Paolillo – vivono in unità organizzate in veri e propri clan attorno a un maschio dominante e gli individui estranei al gruppo vengono aggrediti e scacciati, o addirittura uccisi a morsi. Basta poco dunque perché un territorio lasciato temporaneamente libero, venga rioccupato da un altro gruppo per quel fenomeno noto come “effetto spugna”, che una femmina vada subito in estro (accade ogni cinque giorni), che partorisca da sei a otto cuccioli solo dopo tre settimane di gravidanza e che gli stessi possano cominciare ad accoppiarsi quando hanno solo tre mesi di età, riportando la popolazione ai livelli ottimali compatibili con le risorse alimentari disponibili. Per non dimenticare la capacità che alcune femmine hanno di allattare i cuccioli rimasti orfani di un’altra femmina appartenente allo stesso clan”. Detto ciò, il naturalista Paolillo osserva che “in merito alle denunce sui social e sulla stampa del rinvenimento di bustine con veleno e di casi di avvelenamento di animali domestici, viste le assicurazioni del Comune e la promessa di severi provvedimenti contro gli ignoti responsabili, sarebbe sufficiente esaminare le varie telecamere sparse per il paese (ammesso che siano funzionanti), prelevare le buste e accertare il tipo di sostanza usata, specialmente se rinvenute in luoghi lontani da quelli segnalati per legge almeno cinque giorni prima delle operazioni, per come previsto dalle varie ordinanze del Ministero della Salute. Le stesse (si veda l’ordinanza del 10 febbraio 2012) che prevedono anche la rimozione, a operazione effettuata, delle esche non utilizzate e la rimozione dei ratti trovati morti, anche per evitare l’ingestione e il conseguente avvelenamento degli stessi da parte di animali domestici o selvatici. I proprietari degli animali deceduti o comunque rimasti intossicati in seguito all’ingestione, devono rivolgersi al veterinario di fiducia, che, in base alla sintomatologia conclamata, emetterà una diagnosi di sospetto avvelenamento dandone comunicazione al sindaco e al Servizio Veterinario dell’Azienda Sanitaria competente per territorio. Al sindaco, dopo le segnalazioni di cui sopra, spetta inoltre il compito di dare disposizioni per l’apertura di un’indagine, provvedendo, entro 48 ore alla bonifica, a segnalare con opportuna cartellonistica e a intensificare i controlli da parte delle autorità preposte”.

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