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Rinascita Scott: Mantella ed i tentativi di “aggiustare” i processi e sfuggire agli arresti

Il gruppo ristretto di ‘ndranghetisti vibonesi facenti parte della “Caddara”, il ruolo dell’avvocato Pittelli, l’ergastolo a Peppe Mancuso e gli agganci di Razionale. L’ospedale di Vibo “cantina sociale” e la rete massonica deviata

Rinascita Scott: Mantella ed i tentativi di “aggiustare” i processi e sfuggire agli arresti
Luigi Mancuso

Rosario Fiarè, Filippo Fiarè, Antonio e Michele Vinci di San Gregorio, Raffaele Fiamingo di Rombiolo, Giuseppe Accorinti di Zungri, Saverio Razionale di San Gregorio d’Ippona, Carmine Galati di Mileto, Giuseppe Mancuso detto ‘Mbrogghja e successivamente anche Damiano Vallelunga di Serra San Bruno e Rocco Anello di Filadelfia. Questi i personaggi di vertice della ‘ndrangheta vibonese, chiamata da Andrea Mantella “Caddara”. Di tale gruppo ristretto di ‘ndranghetisti, ad avviso del collaboratore i più sanguinari sarebbero Giuseppe Mancuso, che “uccideva anche per le minime cose e strangolava le persone”, e Giuseppe Accorinti, mentre personaggi come Luigi Mancuso e Saverio Razionale avrebbero “ragionato molto di più”, con Razionale definito da Mantella come “un fuoriclasse del crimine, una mente raffinata, una sorta di Leonardo da Vinci della ‘ndrangheta che amava girare con la Lamborghini e che – ha ricordato il collaboratore – quando Giuseppe Mancuso uccise a San Gregorio Antonio Arena, personaggio di Vibo appartenente al clan Lo Bianco e vicinissimo a Francesco Fortuna, detto Ciccio Pomodoro, andò a spostare i resti del cadavere per impedire che lo stesso Giuseppe Mancuso, arrestato nel 1997, nel caso si pentisse potesse far ritrovare il cadavere”. Antonio Arena era il padre di Bartolomeo Arena, attuale collaboratore di giustizia. [Continua in basso]

Giancarlo Pittelli

I Mancuso, le botte agli avvocati e i magistrati da “avvicinare”

Fra Giuseppe e Luigi Mancuso, al termine del processo nato dall’operazione antimafia “Tirreno” della Dda di Reggio Calabria (scattata nel 1993), secondo la testimonianza di Andrea Mantella sarebbero nati dei dissapori in quanto Luigi Mancuso in appello era stato assolto dagli omicidi dei fratelli Versace di Polistena – venendo condannato solo per l’associazione mafiosa e il traffico di stupefacenti – mentre Giuseppe Mancuso si era beccato l’ergastolo (poi passati a 30 anni di reclusione che sta ancora scontando). Peppe Mancuso sosteneva che suo zio Luigi se lo fosse venduto in Cassazione con il giudice Carnevale – ha dichiarato Mantella – visto che solo lui era stato condannato all’ergastolo, mentre Luigi aveva preso la condanna per l’associazione mafiosa. Ho appreso queste cose da Ottavio Galati di Mileto, fratello del Carmine Galati che faceva parte della Caddara ed è poi morto con un incidente sul trattore. Ottavio Galati si trovava in carcere perché aveva ucciso colui che aveva assassinato a San Calogero Gennaro Vecchio. Le stesse cose, però, mi sono state confermate da Saverio Razionale il quale – oltre ad essere stato il mio padrino di cresima in carcere – aggiunse che Peppe Mancuso era un personaggio fuori di sé, era incontrollabile e tutti gli altri ‘ndranghetisti preferivano che stesse in carcere. A quei tempi – ha aggiunto il collaboratore – c’era una corruttela con il presidente della Cassazione Carnevale attraverso l’avvocato Pittelli. Per non aver ottenuto il risultato sperato ho saputo – ha aggiunto Mantella – che Peppe Mancuso massacrò di botte l’avvocato Pittelli dicendo che il legale preferiva di più Luigi Mancuso rispetto a lui. Sono a conoscenza del fatto che i clan tentavano di corrompere il giudice attraverso l’avvocato Pittelli e la consegna di grosse somme di denaro, oltre a sfruttare entrature massoniche che avevano gli avvocati. Pittelli aveva importanti entrature nazionali ed era un massone deviato”.

Francesco Scrugli

Mantella, la condanna per omicidio e il processo da “aggiustare”

E’ il 1992 e Andrea Mantella e Francesco Scrugli uccidono a Vibo nei pressi del castello Ferdinando Manco e feriscono gravemente il fratello Michele per la mancata restituzione di un cavallo. Mantella e Scrugli si danno quindi alla latitanza e si rifugiano in contrada Silica a Vibo in una casa nella disponibilità di Carmelo Lo Bianco, detto Sicarro. Abbiamo aggiustato il processo con il giudice – ha dichiarato Mantella – ed io e Scrugli siamo stati condannati a 12 anni. Mi sono costituito interrompendo la latitanza perché è stata attivata la rete massonica che doveva avvicinare i giudici e so che per me si mosse anche il commendatore Carmelo Fuscà che faceva parte di una rete massonica e si era attivato per raggiungere il giudice Michele Amatruda. Mi sono così costituito il 17 aprile 1993. Anche mio cognato Antonio Franzè e Carmelo Lo Bianco, Piccinni, si sono attivati per me con il massone deviato Carmelo Fuscà al fine di andare a trovare a Lamezia Terme i Giampà. Da Lamezia ci hanno fatto sapere – ha spiegato Mantella – che in Corte d’Assise io e Scrugli non saremmo stati condannati a più di 16 anni a testa. Alla fine abbiamo preso 12 anni a testa, anche perché l’alternativa era la mia assoluzione e la pena  di 24 anni per il solo Scrugli, difficile però da giustificare perché le pistole che avevano sparato erano due”. [Continua in basso]

Paolino Lo Bianco

L’ospedale di Vibo nelle mani dei Lo Bianco

Andrea Mantella ha quindi riferito di essere rimasto in carcere per l’omicidio Manco per nove anni dalla data del 17 aprile 1993 e di aver poi ottenuto la scarcerazione “grazie a Saverio Razionale che mi disse di nominare l’avvocato Pittelli per intervenire sul presidente del Tribunale di Sorveglianza di Catanzaro, Pulicicchio”. Durante la detenzione per l’omicidio di Ferdinando Manco, Andrea Mantella ha dichiarato di essere stato detenuto nel carcere di Cosenza dove ci stavano anche Peppone Accorinti di Zungri e Francesco Barbieri, mentre poi mi trasferirono a Rebibbia, ottenendo successivamente un permesso premio con il quale mi faccio ricoverare in ospedale a Vibo. Aiutato anche da Paolino Lo Bianco, a Vibo ho girato tutti i reparti pur di non tornare in carcere ed ho simulato una caduta da cavallo. A quel tempo l’ospedale di Vibo – ha dichiarato Mantella – era come una cantina sociale e facevamo quello che volevamo. Siamo nel 2001 e non sono più rientrato in carcere perché dopo ho ottenuto la semi-libertà riprendendo le mie attività criminali, commettendo anche l’omicidio di mio cugino Filippo Gangitano, detto U Picciotto, in quanto così mi è stato ordinato dai miei capi Carmelo Lo Bianco ed Enzo Barba. La colpa di Filippo Gangitano che con me in precedenza ha commesso – quando io ero ancora minorenne – gli omicidi di Michele Neri e Francesco Callipo, era quello di essere gay. Una cosa che il clan Lo Bianco per le regole della ‘ndrangheta non poteva tollerare”.

Domenico Bonavota

Le “soffiate” a Mantella per sfuggire all’arresto dell’operazione Asterix

Siamo nel 2005 e la Procura di Vibo Valentia fa scattare l’operazione Asterix su indagini della locale Squadra Mobile. Spesso andavo a cena a Pizzo con Domenico Bonavota e Francesco Fortuna – ha ricordato Mantella – e loro, avendo rapporti con il dottore Luciano il quale aveva a sua volta rapporti con l’allora procuratore Laudonio, mi dissero che Luciano aveva riferito loro che io e altri saremmo stati arrestati. Quella stessa sera ricevo una telefonata da Paolino Lo Bianco il quale mi invitava a raggiungerlo in una paninoteca di Vibo. Così feci e anche Paolino Lo Bianco mi informò che saremmo stati arrestati. Aggiunse che avrebbe fatto intervenire suo padre Carmelo e aggiunse che forse erano riusciti ad installare una microspia nella mia macchina. Paolino Lo Bianco mi disse anche avrebbe cercato di avvicinare il procuratore tramite Pantaleone Mancuso, detto Vetrinetta. Alla fine ho saputo che non c’era nulla da fare e mi sono buttato latitante”.

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