Il boss di Zungri, Giuseppe Accorinti, doveva morire. Personaggio troppo scomodo per i Soriano di Filandari che ne avevano pianificato l’omicidio. Trova ulteriori conferme nelle nuove ed inedite dichiarazioni di Emanuele Mancuso – che dal giugno scorso ha deciso di collaborare con la giustizia – l’ipotesi investigativa dell’inchiesta “Nemea”, giunta alla richiesta di rinvio a giudizio. I carabinieri del Nucleo Investigativo di Vibo, coordinati dal pm della Dda di Catanzaro Annamaria Frustaci, avevano già ricostruito nel marzo dello scorso anno (prima dell’avvio della collaborazione di Emanuele Mancuso) l’astio nutrito da Leone Soriano nei confronti di Giuseppe Accorinti. Quest’ultimo, sorvegliato speciale di pubblica sicurezza, sarebbe andato a dimorare dai suoceri e quindi nel territorio comunale di Filandari. Una presenza ingombrante, quella di Giuseppe Accorinti, che avrebbe portato Leone Soriano a telefonare persino ai carabinieri indicando il luogo dove poter trovare il boss di Zungri che in un dato lasso temporale si era reso irreperibile.
Situazioni che per gli inquirenti avrebbero “giustificato l’alleanza di Emanuele Mancuso con la ‘ndrina dei Soriano in quanto tutti si trovano in netta contrapposizione al potere manifestato da Accorinti”. Lo stesso Giuseppe Accorinti di cui Leone Soriano avrebbe subito sospettato quando i carabinieri in alcuni terreni di Filandari erano andati alla ricerca di sostanze stupefacenti, tanto che in un’intercettazione fra Francesco Parrotta, Leone Soriano e Giuseppe Soriano (nipote di Leone), i tre “discutono su quale sia la soluzione migliore “per uccidere Giuseppe Accorinti, alias Peppone, evidenziando la disponibilità di armi ed esplosivi, nonché la consapevolezza che anche altri gruppi criminali hanno in animo di eliminare fisicamente lo stesso Accorinti”.
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