«Voglio raccontare una storia, la mia storia. Sono Italo Pititto, 51 anni, nato in Argentina e il figlio di Domenico Antonio, emigrato da Calimera nel 1956 all’età di 16 anni. Sono stato cresciuto con la cultura, l’educazione e l’onore calabrese, e il mio sogno di una vita è stato quello di conoscere quel posto tanto amato. La situazione economica del mio Paese non l’ha mai permesso, fino a pochi mesi fa. Ma conoscere Calimera non era abbastanza. Insieme con Silvana, abbiamo deciso di sposarci in quella chiesa dove i miei nonni si erano sposati e mio padre fu battezzato». Quel legame mai reciso con la terra dei propri avi. Quel richiamo sempre presente verso il suolo natio. Tratto comune a quanti hanno abbandonato in cerca di migliori fortune la Calabria dirigendosi verso le Americhe, l’Europa centrale, l’Australia. Quel cordone ombelicale che ha convinto Italo Pititto a intraprendere un viaggio di oltre 12mila chilometri per vivere “il giorno più bello della vita” nel paese che diede i natali a suo padre, e al padre di suo padre ancor prima. «Abbiamo contattato don Francesco Pontoriero – ha spiegato raccontando a distanza di qualche mese la sua bella storia a Il Vibonese -, e fatto tutte le prenotazioni per una cerimonia semplice e commovente. Finalmente arrivati in paese, la sorpresa è stata immensa: tutti ci stavano aspettando. Eppure – ha aggiunto – non abbiamo parenti diretti lì, solo gli amici d’infanzia di mio padre, come Nicola Di Bella e tutta la sua famiglia che insieme a don Francesco, si sono presi occupati di tutto. Mi hanno spiegato che era un evento importante, che non doveva essere qualcosa di intimo. In meno di una settimana hanno procurato l’abito da sposa, i capelli, i mazzi di fiori, il cibo, persino il riso! La chiesa rinnovata, con le luci a giorno ad illuminarla. Hanno messo a disposizione il loro tempo e le loro case, l’intero paese rivoluzionato dal nostro matrimonio».