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Estorsione a Nicotera ai danni di Carmine Zappia, 3 condanne ed un’assoluzione in appello

Due imputati condannati per favoreggiamento e furto. Rideterminata la pena per Alfonso Cicerone

Estorsione a Nicotera ai danni di Carmine Zappia, 3 condanne ed un’assoluzione in appello
Alfonso Cicerone

Riformata dalla Corte d’Appello di Catanzaro (presidente Maria Rosaria Di Girolamo, giudici Assunta Maiore e Pietro Scuteri) la sentenza emessa dal gup distrettuale, Paola Ciriaco, l’8 gennaio scorso relativa al processo in abbreviato nato dall’operazione “Maqlub” (che in arabo significa ribaltamento)per l’estorsione al commerciante di Nicotera Carmine Zappia.

Questa la sentenza: 7 anni e 6 mesi per Alfonso Cicerone, 47 anni, di Nicotera (in primo grado condannato a 9 anni e 8 mesi di reclusione); assolto Rocco D’Amico, di 40 anni, di Preitoni (frazione di Nicotera); 8 mesi per Francesco D’Aloi, 21 anni, di Preitoni (8 mesi in primo grado); 8 mesi per Giovanni Iermito, 24 anni, di Comerconi (stessa pena in primo grado).

Rocco D’Amico, assolto dall’accusa di concorso in tentata estorsione ai danni di Carmine Zappia, era difeso dagli avvocati Anselmo Scappatura del Foro di Palmi e Antonino Cosentino del Foro di Vibo Valentia.

Per Alfonso Cicerone – difeso dagli avvocati Antonio Barilari e Salvatore Campisi – il reato di tentata estorsione è stato dalla Corte riqualificato in estorsione consumata. E’ stata invece esclusa l’aggravante mafiosa per altra contestazione relativa alla contestazione di intestazione fittizia di beni. Assolto altresì dal reato di estorsione ai danni di un cittadino marocchino. Alfonso Cicerone è stato altresì condannato alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili Carmine Zappia, Provincia di Vibo e Comune di Nicotera liquidate in complessivi 1.200,00 euro per ciascuna parte civile. [Continua in basso]

In primo grado erano stati assolti da ogni accusa Salvatore Comerci, di 36 anni, di Nicotera, e Salvatore Gurzì, 36 anni, pure lui di Nicotera. Con rito ordinario, invece, il Tribunale collegiale di Vibo Valentia il 28 giugno scorso ha condannato il boss di Limbadi Antonio Mancuso, di 83 anni, alla pena di 10 anni e 6 mesi di reclusione ed ha assolto per non aver commesso il fatto Andrea Campisi, di 38 anni, di Nicotera (per lui l’accusa aveva chiesto 9 anni e 6 mesi di reclusione, più settemila euro di multa) e Francesco D’Ambrosio, di 41 anni, di Nicotera (per lui era stata chiesta la condanna 3 anni e 4 mesi). 

L’inchiesta vede il coinvolgimento anche di Giuseppe Cicerone, 90 anni, di Nicotera, la cui posizione è stata stralciata per essere sottoposto a perizia onde accertarne la capacità di partecipare scientemente al processo.

Le accuse

Antonio Mancuso

Estorsione aggravata dalle modalità mafiose l’accusa nei confronti di Alfonso Cicerone e Giuseppe Cicerone, quali concorrenti e cointeressati dal boss Antonio Mancuso. I due sarebbero stati incaricati di tenere direttamente i rapporti con la vittima, l’imprenditore di Nicotera Carmine Zappia, mentre Rocco D’Amico, Salvatore Gurzì e Andrea Campisi (tutti però assolti) sarebbero stati gli esecutori materiali dell’estorsione coadiuvando Alfonso Cicerone e Antonio Mancuso, quest’ultimo indicato quale mandante e beneficiario della condotta delittuosa. Proprio il boss di Nicotera e Limbadi avrebbe impartito le direttive per l’estorsione convocando la vittima alla sua presenza e interloquendo direttamente con la stessa, in più occasioni ed in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, dapprima asserendo di aver rilevato il residuo credito di centomila euro vantato da Maria Giacco nei confronti della vittima, Carmine Zappia, in relazione alla cessione nel maggio del 2011 di un immobile sito in via Filippella di Nicotera, quindi riferendo di agire per conto di terze persone non meglio specificate, mediante violenza e minaccia derivante “dall’appartenenza dei Cicerone e di Antonio Mancuso alla famiglia di ‘ndrangheta dei Mancuso di Limbadi e dal carisma mafioso di Mancuso Antonio, connesso al suo ruolo di riconosciuto referente di tale famiglia”.

La vicenda

Dal gennaio al marzo 2018, gli imputati avrebbero indotto la vittima ad accettare di estinguere il residuo debito versando 15mila euro ogni tre mesi (importo che effettivamente Carmine Zappia versava nel gennaio 2018), somma poi ridotta a cinquemila euro ogni tre mesi (importo che la vittima versava ad Antonio Mancuso nel marzo dello scorso anno tramite Giuseppe Cicerone). Nell’ottobre del 2018, Alfonso Cicerone, alla presenza di Antonio Mancuso, avrebbe urlato con tono minaccioso nei confronti della vittima, intimandogli di consegnare la somma dovuta a qualsiasi costo e di non far fare brutta figura allo zio Antonio Mancuso. Nei giorni successivi, sia Alfonso Cicerone, sia Antonio Mancuso avrebbero quindi intimato alla vittima di togliere tutti i mobili dal suo negozio di arredamenti entro due giorni, con frasi del tipo: “Non aprire la serranda che mi incazzo…o porti i soldi entro sabato o lunedì non aprire”, chiedendogli poi di prendere i soldi a strozzo dallo stesso Antonio Mancuso, così ottenendo la consegna in contanti di ulteriori cinquemila euro, somma versata dalla parte offesa nel dicembre dello scorso anno. Giuseppe Cicerone avrebbe poi riferito alla vittima che “era stato deciso di pestarlo” e che ciò non avveniva solo per il suo personale parere negativo. Alfonso Cicerone è poi accusato di aver ancora minacciato la vittima, mentre Antonio Mancuso avrebbe riferito a Zappia che i cinquemila euro versati mensilmente erano da considerarsi quale affitto dei locali (in realtà già di proprietà dell’imprenditore) e che andavano a decurtare il residuo debito complessivo. [Continua in basso]

Antonio Mancuso, alla presenza del cognato Giuseppe Cicerone, del nipote Alfonso Cicerone, e di Salvatore Comerci (che è stato assolto), era poi accusato di aver imposto alla vittima di affiggere alla propria attività di arredamenti il cartello “Vendesi”. Alfonso Cicerone, inoltre, in vista della scadenza del giugno scorso, avrebbe riferito alla vittima che Antonio Mancuso era molto arrabbiato per la sua posizione debitoria e che da quel momento in avanti avrebbe assunto un atteggiamento diverso, stabilendo che le comunicazioni relative al pagamento sarebbero avvenute per il tramite di Rocco D’Amico (assolto da ogni contestazione).

La tentata estorsione agli ambulanti

Francesco D’Ambrosio, Alfonso Cicerone e Rocco D’Amico, erano quindi accusati di altre tentata estorsione per aver cercato di farsi consegnare dagli ambulanti senegalesi, che stazionavano in piazza Garibaldi a Nicotera, 50 euro ciascuno per l’occupazione dello spazio pubblico dinanzi al bar di Cicerone. Una pretesa non andata a buon fine. Rocco D’Amico da tale accusa era già stato assolto in primo grado, così come in ordinario Francesco D’Ambrosio.

Il Taranta Festival

Alfonso Cicerone avrebbe poi preteso di imporre agli organizzatori della manifestazione musicale “Taranta Festival” a Nicotera la distribuzione di panini non facendo riferimento a persone della frazione Comerconi. Alfonso Cicerone è infatti titolare del bar “Plaza New” ubicato in piazza Garibaldi a Nicotera e quindi direttamente interessato alla somministrazione dei panini durante il Taranta Festival. In sostanza, Alfonso Cicerone non avrebbe gradito che il rappresentante legale dell’associazione portasse gente di Comerconi a distribuire gratis i panini in occasione della manifestazione musicale, tanto da minacciare di prendere a schiaffi tali persone di Comerconi. Da qui l’accusa di tentata estorsione e illecita concorrenza con minaccia o violenza. 

Le ulteriori accuse

Francesco D’Aloi, Giovanni Iermito, Gabriele Gallone (8 mesi in primo grado, verdetto non appellato), erano infine accusati del reato di favoreggiamento personale aggravato dalle finalità mafiose. Avrebbero interrotto il 19 luglio del 2019 il funzionamento di una telecamera utilizzata dai carabinieri nell’ambito delle indagini, aiutando così gli indagati ad eludere le investigazioni. L’impossessamento della telecamera comporta per loro anche l’ulteriore accusa di furto aggravato dalle finalità mafiose consistite nel voler agevolare il clan Mancuso.

Nel collegio di difesa del processo d’appello figuravano gli avvocati: Francesco Capria (per D’Aloi e Iermito), Salvatore Campisi e Antonio Barilari (per Alfonso Cicerone), Antonio Barilari (per Cicerone), Antonio Cosentino e Anselmo Scappatura (per D’Amico).

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