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‘Ndrangheta: “Romanzo criminale”, la deposizione in aula a Vibo del maresciallo Cannizzaro

Accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, l’ex comandante della Stazione di Sant’Onofrio si è difeso tirando in ballo gli allora vertici del Reparto Operativo di Vibo: “Hanno voluto incastrarmi”

‘Ndrangheta: “Romanzo criminale”, la deposizione in aula a Vibo del maresciallo Cannizzaro

Lungo esame in aula dell’ex comandante della Stazione dei carabinieri di Sant’Onofrio, Sebastiano Cannizzaro, nel processo nato dall’operazione denominata “Romanzo criminale” contro il clan Patania di Stefanaconi e che lo vede imputato di concorso esterno in associazione mafiosa e falso. Rispondendo alle domande del pm della Dda di Catanzaro, Andrea Mancuso, dei suoi difensori – avvocati Aldo Ferraro e Pasquale Patanè – e poi della presidente del Collegio, Lucia Monaco, l’ex luogotenente dell’Arma, due volte sospeso dal servizio dopo il suo coinvolgimento in vicende giudiziarie e due volte reintegrato dal Tar prima del pensionamento, ha cercato di chiarire molte circostanze poste alla base dell’impalcatura accusatoria nei suoi confronti.

I rapporti con il sacerdote e gli scavi sottratti al maresciallo. In primis ha spiegato di aver intrattenuto con don Salvatore Santaguida, all’epoca parroco di Stefanaconi, normali “rapporti istituzionali sfociati successivamente in un’amicizia pur sempre nella salvaguardia delle rispettive funzioni. E’ stato don Santaguida ad indicarmi la zona – ha riferito in aula Cannizzaro (in foto) – dove poter cercare il corpo di Michele Penna, scomparso per lupara bianca nel 2007. Dal sacerdote ho ricevuto anche altre notizie utili alle indagini che lui apprendeva nella sua veste di parroco di Stefanaconi, ma mai è avvenuto che fossi io a veicolare informazioni a don Salvatore sulle mie indagini. Iniziai a seguire le operazioni di scavo per la ricerca del corpo di Michele Penna anche perché l’indicazione di don Santaguida coincideva con le mie risultanze investigative. Dopo quattro giorni di scavi, però, – ha aggiunto l’ex maresciallo dell’Arma – arrivò l’ordine perentorio da parte del reparto Operativo dei carabinieri di Vibo Valentia, diretto all’epoca dal maggiore Vittorio Carrara, di abbandonare le operazioni perché dovevano seguirle solo loro. Feci una nota alla Dda di Catanzaro su tale circostanza e mi feci da parte. Gli scavi vennero poi seguiti sul posto solo dal padre di Michele Penna, ma non dai carabinieri del Reparto Operativo di Vibo che pur avrebbero dovuto seguire tutte le operazioni. Scavi, peraltro, a mio avviso fatti male”.

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Le denunce di Fiorillo consegnate al maggiore Carrara. All’indomani dell’omicidio di Fortunato Patania (in foto) avvenuto nella sua Stazione di carburanti nella Valle del Mesima il 18 settembre del 2011 in risposta all’agguato – avvenuto 48 ore prima – dell’agricoltore Michele Mario Fiorillo di Piscopio (che diede il via alla faida fra i Patania e i Piscopisani), Sebastiano Cannizzaro ha confermato oggi in aula quanto già raccontato nelle precedenti udienze dall’allora capitano della Compagnia dei carabinieri di Vibo Valentia, Stefano Di Paolo, e dal maresciallo Caolo, ovvero di aver consegnato tre denunce presentate da Michele Mario Fiorillo contro i Patania per pascolo abusivo (di cui una presentata da Fiorillo ai carabinieri a distanza di un anno dai fatti denunciati) nelle mani del maggiore dei carabinieri, all’epoca alla guida del Reparto Operativo di Vibo, Vittorio Carrara, alla presenza del capitano Giovanni Migliavacca, all’epoca alla guida del Nucleo Investigativo dei carabinieri di Vibo ed oggi alla guida del Ros di Catanzaro, e del colonnello Giovanni Roccia, quest’ultimo all’epoca comandante provinciale dei carabinieri di Vibo. Su tale trasmissione delle denunce, Carrara e Migliavacca, già ascoltati come testi nel processo, hanno riferito in precedenza di non aver mai ricevuto nulla da Cannizzaro nel corso di una riunione operativa avvenuta la sera stessa dell’omicidio di Fortunato Patania. Motivo per il quale, nel caso di specie, o più di uno ricorda male oppure mente. Si tratta di una circostanza importante ai fini dell’accertamento della verità processuale e sulla quale si registrano al momento versioni totalmente differenti da parte di appartenenti all’Arma dei carabinieri.

Contestate tutte le accuse sulla mancata trasmissione delle denunce ai vertici superiori dell’Arma, l’ex comandante della Stazione dei carabinieri di Sant’Onofrio ha quindi invitato il pubblico ministero Andrea Mancuso a disporre una perizia per accertare chi materialmente ha inserito dati e numeri sbagliati nell’archivio informativo dei carabinieri in ordine alla registrazione di alcune denunce presentate ala Stazione di Sant’Onofrio. Su tale specifico episodio, Sebastiano Cannizzaro ha inoltre aggiunto oggi in aula che il capitano Stefano Di Paolo gli avrebbe confidato che gli allora vertici dell’Arma di Vibo avevano intenzione di “incastrare” lo stesso Cannizzaro. Infine, sul Gps installato sulla Renault Clio in uso a Giuseppe Patania al fine di seguirne gli spostamenti, Cannizzaro ha spiegato di averlo installato lui stesso su delega della Dda di Catanzaro. Un Gps rivelatosi prezioso poiché ha poi portato ad accertare i contatti ed i rapporti fra i Patania ed il boss di Nicotera Marina Pantaleone Mancuso, alias “Scarpuni”.

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