martedì,Aprile 16 2024

‘Ndrangheta: “locale” di Fabrizia in Germania, tutti assolti

Il Tribunale di Locri ha emesso la sentenza del processo in ordinario nato dall’operazione “Rheinbrucke”

‘Ndrangheta: “locale” di Fabrizia in Germania, tutti assolti

Il Tribunale di Locri nel giudizio scaturito dall’operazione denominata “Rheinbrucke”, condotta dalla Dda di Reggio Calabria, ha assolto tutti gli imputati dalle accuse che erano loro contestate. L’operazione “Rheinbrucke”, unitamente a quella parallela denominata “Helvetia”, aveva fatto luce, secondo la tesi della Procura Distrettuale reggina, su una serie di articolazioni straniere della ‘ndrangheta, legate alla casa madre del “locale” di Fabrizia, nel Vibonese, e dipendenti dal “Crimine” di Rosarno. In particolare, le autorità elvetiche avevano filmato delle vere e proprie riunioni in cui i soggetti partecipi erano coinvolti in dei rituali tipici della criminalità organizzata calabrese.

Le richieste di pena. All’esito dell’istruttoria dibattimentale, il pm della Dda di Reggio Calabria De Bernardo, aveva chiesto la condanna a 10 anni di reclusione per gli imputati: Domenico Nesci, detto “Mimmo” (avv. Giovanni Vecchio) e Raffaele Primerano (avv. Eugenio Minniti), entrambi di Fabrizia, mentre 9 anni di reclusione a testa era stata la richiesta di pena per Maria Giovanna Nesci (avv. Antonio Carè) e Natalino Monteleone.

Il Tribunale di Locri, tuttavia, ha disatteso la tesi investigativa assolvendo Domenico Nesci “perché il fatto non sussiste” e i restanti imputati per non aver commesso il fatto.

Nesci Domenico, in particolare, era stato rimesso in libertà dal Tribunale del Riesame di Reggio Calabria nello scorso mese di aprile dopo che le Suprema Corte, per due volte, aveva accolto i ricorsi difensivi presentati nell’interesse del predetto. In particolare, i giudici di legittimità avevano ribadito la necessità, per poter ricondurre l’organizzazione nel paradigma normativo delineato dall’art. 416 bis c.p. (associazione mafiosa) che la stessa estrinsechi nel luogo in cui opera una capacità d’intimidazione che, oltre ad essere effettiva e oggettivamente riscontrabile, deve essere percepita dagli astanti.

“Si tratta – dichiara l’avvocato Giovanni Vecchio, che è stato affiancato nella difesa di Nesci Domenico dall’avvocato Bruno Vallelunga – di una sentenza, emessa da un Tribunale particolarmente avveduto, che fa giustizia e che segue quelle che sono le direttive tracciate dalla Corte di Cassazione a proposito di quella che, con una terminologia non propriamente felice, viene definita “mafia silente”. La necessità di un’esteriorizzazione del c.d. “metodo mafioso” – prosegue il difensore – risponde a una primaria esigenza di libertà, che rinviene il suo fondamento giuridico addirittura nel secondo comma dell’art. 25 della Costituzione, laddove si parla di “fatto commesso”, e adagiarsi su posizioni che ritengono sufficiente una mafiosità meramente potenziale (come l’idea, di stampo sociologico ma non certo giuridico, che ci possa essere una mafia solo “silente” o “parlata”) significherebbe perdere di vista proprio il principio di materialità del fatto-reato”.

La problematica della c.d. “mafia silente”, a proposito delle ramificazioni estere della ‘ndrangheta, aveva richiesto, nell’ambito delle vicende cautelari scaturite dal procedimento “Helvetia”, sempre su ricorso presentato dall’avvocato Vecchio, l’interessamento delle Sezioni Unite della Cassazione circa la possibilità di qualificare come partecipazione punibile quelle condotte che consistono in una “mera potenzialità” mafiosa, peraltro in territori che tradizionalmente disconoscono simili organizzazioni (questione che però non è approdata al vaglio delle Sezioni Unite perché il primo Presidente della Cassazione aveva ritenuto non sussistente il contrasto giurisprudenziale ravvisato dalla Sezione remittente e, pertanto, restituito gli atti alla stessa che, accogliendo il ricorso difensivo, aveva poi annullato il provvedimento impugnato).

La sentenza del Tribunale di Locri si pone su tale solco giurisprudenziale e finisce per sconfessare la tesi della duplicazione all’estero della ‘ndrangheta calabrese che notevole risalto aveva avuto sulla stampa internazionale.

L’operazione convenzionalmente chiamata “Rheinbrücke” rappresenta la naturale prosecuzione della vasta ed articolata operazione “Helvetia” che ha fatto luce sulla presenza di alcuni esponenti della ‘ndrangheta in Svizzera, fornendo una sostanziale conferma dell’esportazione del modello ‘ndranghetistico in Svizzera e in Germania, ove l’organizzazione criminale è stata “clonata” realizzando strutture analoghe a quelle tradizionalmente tipiche del territorio calabrese e con evidenti stretti legami di dipendenza con l’organismo di vertice in Calabria.

Le indagini sono state avviate nel gennaio 2012 ed hanno consentito di individuare un contesto di ‘ndrangheta con appartenenti alla “Società di Singen” e di accertare l’esistenza di altri“locali” omologhi nelle città di Rielasingen, Ravensburg ed Engen e di approfondire il rapporto che lega tali strutture mafiose all’organismo di ‘ndrangheta denominato “Provincia”, attivo nel Reggino ed in parte del Vibonese. Le strutture mafiose individuate a Fabrizia, in Svizzera ed in Germania farebbero capo alle “famiglie” Nesci e Primerano.

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