venerdì,Aprile 19 2024

Il giudice Pietro D’Amico falsificò il certificato medico per ottenere il suicidio assistito

Il caso riportato alla luce dalla trasmissione di Italia Uno “Le Iene” che ha incontrato la figlia Francesca ed Erika Preisig, la donna che lo aiutò a morire in una clinica svizzera. Il magistrato di Piscopio aggiunse di suo pugno sul documento la diagnosi di un male incurabile

Il giudice Pietro D’Amico falsificò il certificato medico per ottenere il suicidio assistito

«C’è poco da capire. In una situazione come la mia io voglio morire perché aggredito da una malattia terribile in fase avanzata e terminale». Scriveva così, “in una lettera-testamento” del 2010, il giudice vibonese Pietro D’Amico, manifestando l’intenzione di porre fine volontariamente alla propria esistenza. Tre anni dopo, la decisione del magistrato di farla finita con la “dolce morte” si concretizzerà nella clinica di Biel-Benken, vicino Basilea in Svizzera. «Sto pensando a qualcosa di indicibile – aggiungeva – e che nessuno può immaginare. Vado in Svizzera poiché là vi è la Dignitas che provvederà nel caso come il mio».

Se ne andava così all’età di 62 anni un uomo colto e sensibile, magistrato, scrittore e cultore di storia ebraica. Nato a Vibo Valentia, residente a Piscopio, iniziò a lavorare come magistrato di sorveglianza al Tribunale di Varese fino a giungere alla Procura generale di Catanzaro con funzioni di sostituto procuratore. Ruolo che ricopri fino al 2010, quando si dimise dalla magistratura.

È di quel periodo il coinvolgimento nell’inchiesta “Why not” istruita dal collega Luigi De Magistris, allora pubblico ministero a Catanzaro. Solo sospetti, poi risoltisi in un nulla di fatto. Quindi la forte depressione, poi la diagnosi di una malattia incurabile e la scelta di ricorrere al suicidio assistito. Una diagnosi che, tuttavia, non ha mai convinto fino in fondo. Smentita anche dai medici ai quali D’Amico si rivolse. Smentita anche dalla successiva autopsia disposta dalla magistratura che sancì come, alla base della scelta, vi fosse in realtà un errore.

Quella inesattezza sarebbe in realtà una manomissione del certificato, che sarebbe stato modificato dallo stesso D’Amico, ormai determinato a farla finita, per poter accedere al suicidio assistito. Il certificato originale, firmato dallo psichiatra Corrado Carullo, diagnosticava un disturbo depressivo cronico. Su quel documento, con grafia diversa, erano state poi vergate altre due parole: “LUE avanzata”, vale a dire la diagnosi di un male incurabile, la “Neurosifilide para-enchimatosa” che procura difficoltà nel parlare e nel muoversi e che avrebbe giustificato la volontà suicida di D’Amico.

A riportare alla luce la vicenda la trasmissione di Italia Uno “Le iene” che al caso del magistrato vibonese ha dedicato un approfondito servizio con le sconvolgenti immagini degli ultimi minuti di vita di D’Amico tratte da un documentario sulla “dolce morte”. Immagini che ritraggono anche Erika Preisig, la dottoressa che lo aiutò a morire.

Un’“eroina”, per il giudice vibonese, che esprimeva la sua riconoscenza a chi lo ha accompagnato nel suo ultimo viaggio, non mancando di rimproverare l’equipe «che agisce con eccesso di prudenza». “Non un medico di professione“, al contrario, per la figlia del giudice, Francesca D’Amico, che ai microfoni delle “Iene” racconta i terribili momenti in cui apprese la notizia della morte del padre, comunicatole proprio dalla Preisig con “molta naturalezza”. A lei rimprovera soprattutto di non aver verificato la veridicità del documento presentato dal padre e quindi le sue reali condizioni di salute.

Quest’ultima, raggiunta e intervistata dalla “iena” Nadia Toffa, dopo aver spiegato di aver assistito oltre 500 suicidi, alla domanda sul caso D’Amico, visibilmente turbata, rifiuta di continuare l’intervista e si allontana rapidamente.

GUARDA IL SERVIZIO DE “LE IENE”

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