E’ stata accolta dal Ministero di Grazia e Giustizia la richiesta di applicazione del carcere duro (regime previsto dall’articolo 41 bis dell’ordinamento penitenziario) nei confronti di Pasquale Pititto, 50 anni, di San Giovanni di Mileto, che si trova ristretto nel carcere di Parma. Quello che viene ritenuto come il vertice dell’omonimo clan sta scontando l’ergastolo per l’omicidio di Pietro Cosimo (esecutore materiale insieme a Nazzareno Prostamo), delitto consumato a Catanzaro su mandato del boss dei Gaglianesi, Girolamo Costanzo, che pagò all’epoca per il fatto di sangue cinque milioni di lire ai due vibonesi. Pasquale Pititto ha poi rimediato una condanna a 25 anni di reclusione definitiva nel processo nato dalla storica operazione “Tirreno” scattata nel 1993 ad opera dell’allora pm della Dda di Reggio Calabria, Roberto Pennisi. I processi sono stati celebrati in Corte d’Assise a Palmi per il primo grado ed in Appello a Reggio Calabria. Pasquale Pititto, unitamente al cognato Michele Iannello (collaboratore di giustizia e condannato per l’omicidio di Nicolas Green) è stato ritenuto l’esecutore materiale dell’omicidio di Vincenzo Chindamo e del tentato omicidio di Antonio Chindamo, fatti di sangue commessi a Laureana di Borrello l’11 maggio 1991 su mandato del boss Giuseppe Mancuso di Limbadi. Nel delitto dei Chindamo sono poi rimasti coinvolti anche i vertici dei clan Piromalli e Molè di Gioia Tauro, alleati ai Mancuso nell’eliminazione dei due elementi del clan Chindamo contrapposti al clan dei Cutellè di Laureana appoggiato dai Piromalli-Molè-Mancuso.
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