Il primo pensiero è rivolto al signor Antonio Ditto, il ceramista di Seminara che, nel momento in cui scrivo, si trova in prognosi riservata per le gravissime lesioni riportate dopo essere stato colpito rovinosamente da un grosso lampione schiantatosi in Piazza della Repubblica a Pizzo.

La stessa piazza che, appena quarantotto ore prima, era gremita di visitatori, specie tra le stupende e coloratissime ceramiche che ogni anno, da decenni, gli artigiani seminaresi espongono a curiosi e acquirenti, rimasti praticamente gli unici, insieme ai sorianesi, a produrre qualcosa che non rechi il marchio “Made in China”.
La speranza di tutti pizzitani, sinceramente sconvolti per il drammatico evento, è che possa tornare prima possibile in salute ai suoi affetti e al suo lavoro.

Ma quello che è accaduto, e che poteva avere conseguenze ancora più tragiche se solo si fosse verificato due giorni prima, deve farci riflettere sullo stato di abbandono e di incuria in cui versano diverse situazioni cittadine e sulle quali occorre finalmente intervenire proprio per scongiurare rischi per l’incolumità delle persone. O vere e proprie immani tragedie, come quella che ha visto tutta la comunità vibonese stringersi attorno alla famiglia del piccolo Francesco Mirabelli, spirato a settembre per colpa di una trave di legno malmessa nel Parco Cittadino di Moderata Durant.

A Pizzo, come a Vibo per il parco, si è provveduto a impedire l’accesso alla Piazza, come quella famosa stalla, chiusa dopo che aveva visto scappare tranquillamente i buoi, anche se qui, non di fughe di animali si tratta, ma di vite umane.

Ecco allora che il paese necessita di un piano straordinario di messa in sicurezza che parta da una ricognizione capillare di tutte le situazioni di potenziale pericolo, dalla periferia fino alle zone più note e frequentate, come la Piazza centrale e la Marina.

Penso ad esempio a tutte le ringhiere arrugginite, al molo “Pizzapundi”, alle panchine ormai logorate dal tempo o semidistrutte (vedi ex “giardinetto della Stazione). Penso ai marciapiedi sconnessi sulla Statale 18, alle ringhiere pericolose per i bambini (perché troppo larghe) del parcheggio Pitaro, alla scalinata che collega lo stesso parcheggio alla discesa di Via delle Grazie, alle zone scarsamente o per nulla illuminate, all’abbandono della Villa Comunale, e, perché no, anche agli alberi che potrebbero costituire un pericolo. Comprendo che questo ultimo accenno possa suscitare un certo stupore, detto da uno che non taglierebbe un filo d’erba e a cui il rumore delle motoseghe provoca l’orticaria, ma l’amore sconfinato per la Natura e per i suoi testimoni più grandi e preziosi, non può impedirmi di considerare che in certe situazioni, gli stessi alberi che adoro, cadendo, potrebbero causare seri danni. Penso anzi che se c’è un modo per fare apprezzare tutti i benefici del verde cittadino, in termini di ombra e mitigazione del calore, produzione di ossigeno, cattura del particolato inquinante e di anidride carbonica, riparo dalle polveri, abbellimento del paesaggio ecc., bisogna per prima cosa che gli stessi alberi non vengano percepiti come un rischio da chi ci passa sotto.

Questo presuppone due elementi essenziali: da un lato la piantagione di specie adatte all’ambito urbano in termini di spazio e di sviluppo della chioma e delle radici, idoneità al particolare tipo di terreno e al nostro clima mediterraneo, la facilità di gestione dopo l’impianto; alberi che siano insomma compatibili con l’ambiente particolare (come quello cittadino) in cui vogliamo inserirli. Dall’altro serve uno scrupoloso monitoraggio sul territorio degli alberi esistenti al fine di valutarne situazioni di instabilità, stato fitosanitario, livello di senescenza, eventuali attività di contenimento o di manutenzione. Sia nell’uno che nell’altro caso, è bene sottolinearlo, ogni decisione deve essere adottata sulla base di un’analisi peritale di un esperto agronomo o forestale. Tutto il contrario di quanto avviene spesso e impunemente, vale a dire l’iniziativa personale o delle amministrazioni fin troppo succubi di assurde richieste di tagli scellerati per i motivi più strampalati (“tolgono l’aria, sporcano, coprono la visuale” ecc.). Tagli che vengono spesso affidati all’improvvisazione momentanea di persone che non esitano a mutilare gli alberi con orrende potature o magari capitozzandoli, solo perché sanno usare una motosega. Insomma, anche se nella valutazione del rischio è impossibile che l’improbabile non si verifichi mai, bisogna comunque fare di tutto per ridurre al minimo tali probabilità. A volte basta quella che si chiama ordinaria manutenzione.