Resta agli arresti domiciliari Michele Lo Bianco, 77 anni, di Vibo Valentia, tra gli imputati del maxiprocesso d’appello nato dall’operazione antimafia Rinascita Scott. La quinta sezione penale della Cassazione ha infatti dichiarato inammissibile il ricorso della Procura di Catanzaro avverso la decisione del Tribunale del Riesame di Catanzaro che ha rigettato la richiesta della Dda la quale aveva chiesto il ripristino della misura cautelare del carcere dopo la condanna in primo grado alla pena di 16 anni e 6 mesi rimediata da Michele Lo Bianco per il reato di associazione mafiosa. Il 77enne viene ritenuto un elemento di spicco dell’omonimo clan ed in particolare dell’articolazione che faceva capo al boss Carmelo Lo Bianco, alias “Sicarro” (deceduto), fratello dello stesso Michele. 

I motivi del ricorso

La Procura di Catanzaro lamentava nel ricorso che il giudice della cautela (Tribunale del Riesame) aveva rigettato l’appello dando rilievo a circostanze non attinenti al caso come: il raggiungimento del limite di età di settant’anni; la data di commissione del fatto; la detenzione domiciliare da oltre un anno; l’assenza di segnalazioni di violazioni della misura in atto. Tutte circostanze che il Riesame ha ritenuto utili per superare la presunzione relativa di pericolosità sociale, senza considerare che, nelle more, in data 20 novembre 2023 – aveva fatto notare la Procura nel ricorso – era intervenuta la sentenza con la quale il Tribunale di Vibo Valentia ha affermato la penale responsabilità del Lo Bianco in ordine al delitto di associazione mafiosa nella forma aggravata, circostanza, questa, dalla quale era desumibile la sussistenza di un periculum libertatis.

La decisione della Suprema Corte

Resta agli arresti domiciliari Michele Lo Bianco, 77 anni, di Vibo Valentia, tra gli imputati del maxiprocesso d’appello nato dall’operazione antimafia Rinascita Scott. La quinta sezione penale della Cassazione ha infatti dichiarato inammissibile il ricorso della Procura di Catanzaro avverso la decisione del Tribunale del Riesame di Catanzaro che ha rigettato la richiesta della Dda la quale aveva chiesto il ripristino della misura cautelare del carcere dopo la condanna in primo grado alla pena di 16 anni e 6 mesi rimediata da Michele Lo Bianco per il reato di associazione mafiosa. Il 77enne viene ritenuto un elemento di spicco dell’omonimo clan ed in particolare dell’articolazione che faceva capo al boss Carmelo Lo Bianco, alias “Sicarro” (deceduto), fratello dello stesso Michele. 
Per la Cassazione, la previsione normativa nella parte che riguarda i soggetti ultrasettantenni prevale su quella della presunzione delle esigenze cautelari e di adeguatezza esclusiva della custodia in carcere. Per il ripristino del carcere, dunque, il riscontro delle esigenze di eccezionale rilevanza implica un motivato e complessivo giudizio che non può limitarsi alla verifica della semplice concretezza, ma deve rilevare la sostanziale certezza che l’indagato, se sottoposto a misure diverse dalla custodia in carcere, continuerà a commettere reati”. Per i soggetti inseriti in associazioni di tipo mafioso, la Cassazione ricorda tra l’altro che è stato affermato il principio secondo cui le esigenze cautelari del carcere non possono automaticamente rilevarsi sulla base del semplice riferimento alla posizione di rilievo assunta dal soggetto all’interno dell’organizzazione criminale, ma occorre una verifica in concreto, persino in presenza di un ruolo apicale, idoneo a giustificare la «sostanziale certezza» della prosecuzione” dell’attività delittuosa. Secondo la Suprema Corte, giudici del Riesame hanno evidenziato “in modo articolato e dettagliato, le ragioni per le quali non si ravvisano quelle «esigenze cautelari di eccezionale rilevanza che possono prevalere sull’età del Lo Bianco, tale per cui operare un aggravio di pena». Da qui l’inammissibilità del ricorso. Michele Lo Bianco è difeso dagli avvocati Michelangelo Miceli e Leopoldo Marchese.

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