“Il Profumo dei Ricordi”, pubblicata la raccolta di poesie della scrittrice vibonese Giuseppina Prostamo

Giuseppina Prostamo

È una donna di cultura e sentimento, Giuseppina Prostamo. Le sue poesie – che sgorgano palpitanti dal cuore e affiorano da un animo pervaso da pure emozioni – sono positivamente contaminate da un profondo sapere umanistico, le cui tracce raggiungono il loro punto culminante nella letteratura italiana romantica e verista. L’autrice esprime la propria interiorità traendo ispirazione da una contemplazione della natura. I suoi pensieri poetici, sovente, si tramutano in versi, spronati dall’intimo ricordo dei paesaggi naturali di quand’Ella era bambina, di quei luoghi dell’anima il cui tempo era scandito dal quotidiano vivere familiare contadino, che temprava i corpi e scaldava i cuori”.  E’ quanto si legge nella prefazione del libro curata dal giornalista professionista Pasquale Petrolo che così continua: “Una lirica, quella della poetessa Prostamo, che in maniera idilliaca si proietta in una cornice naturale ideale, rievocando usi e costumi del suo amato borgo di origine, Briatico, che dalle rupestri e profumate colline, passando per la baia sulla quale si adagia, eterna, la Rocchetta (antica torre costiera), mira all’orizzonte l’infinito mare.  [Continua in basso]

Dai versi delle liriche emerge il profumo di ricordi dal sapore forte, mai dimenticati, che evocano felicità, sentimenti, dolori, speranze e affidamento al Cielo. Memorie che affiorano tra le campagne e i paesaggi marini dove ogni cosa conserva il vissuto dell’autrice “le cui radici – com’Ella declina con vena poetica – affondano nell’agreste e marinaro humus”.
Felicità, traspare nella poesia “Gioia” per il conseguimento “dell’ambita meta”, la laurea. “L’alba annunciava/l’imminente giorno nascente/e con sé la gioia per il conseguimento dell’ambita meta/il mio sogno stava per realizzarsi…”.
La ricerca della madre, che sente viva nel proprio cuore, nei tratti e nei colori delle persone che incrocia è presente, invece, nella poesia “Mi Manchi”; “Ti cerco nello sguardo mesto/delle persone che incontro/Ti vedo nei capelli brizzolati… /Ti ammiro sulle mani lucide… /Ti sento sempre dentro di me/quando avvinghi il mio cuore che palpita…”.
Nonché nel componimento “Nostalgia”, nel quale ringrazia l’amata mamma per averla messa al mondo “Oggi, nel giorno in cui mi hai dato la vita/a te che certamente mi ascolti, dico grazie”.
I comportamenti antichi e stanchi che il padre ripropone nel lavoro con la speranza di raccoglierne ancora i frutti, sono descritti, in maniera semplice ma incisiva, nella poesia “Uomo”; “Semini ancora uomo e con il rituale gesto/affidi al terreno il gene della vita/guardi e nel cuore coltivi ancora la speranza di raccoglierne i frutti…”. Ed anche, sia pur con sfumature comunicative diverse, nella lirica “Ricordi”, “all’ombra del secolare ulivo/ mi vedo sulle spalle di mio padre/ quando mi portava alla marina”, nella quale l’autrice si rivede in frammenti di vita anche insieme agli altri suoi familiari “e ancora mi vedo insieme ai mie cari/uniti nel lavoro, intorno al focolare a fabulare e a condividere le gioie e i dolori”.
L’affidamento dei figli a Dio e alla Mamma Celeste emerge, chiaramente, nelle poesie: “Attesa”, “Abbiamo innalzato a Te, nostro Faro/la preghiera dal profondo del cuore/e, Tu, provvida…/ci hai fatto rivedere la luce”; “E intanto il tempo”, “È vero Sole della mia vita/nel crescer ti sei più volte punta/ma nei momenti di gioia e di dolore/impara anche tu a dire/sia fatta la volontà del Signore!”
Pensieri in tempo di Pandemia”, poesia in vernacolo, “A tia, Maria di lu Carmelu, matri e regina di lu mari e di la terra/‘nginogghjuni ti cercu grazi/A scola, di figghji nostri/ locu sicuru di crescita e guida, falla tornari china di vita comu prima”;  “Aspettandu”, dove il lavoro diventa anche luogo di preghiera, “Tempi tristi eranu chjii e cogghjievumu a livi/e, quando sutta e luvari si cantava/Allestimundi c’arriva u Signuri /‘u cori s’allargava e comu ‘na vampa caddjijava i maniceji mei/chi s’arriminavanu  pemmu l’incunu u panaru”.
L’amore di madre e di nonna è contemplato pienamente nella varietà espressiva dei versi delle liriche:
“Sguardi”, “intensi ti scrutano/sguardi lievi ti accarezzano e ti fotografano, per mantenere nitida la tua presenza dentro di me…”;Emozioni”, “L’allontanarsi oggi è ancor più triste/ Tu, piccolo angelo, sorridi/ti raggomitoli tra le braccia sicure della mamma e rimarchi le fossette sulle guance/ Tu, sole della mia vita/mi segui andare dall’uscio della porta/e mesta dici…telefona quando arrivi alla stazione”.
Nella poesia “Noi”, invece, l’amore romantico per la persona amata “continua ad essere pura poesia/veste colori sempre più belli/e mantiene la freschezza del primo giorno”.
Dalla lettura delle poesie “Mi rivedo”, “Maggiolini” e “Agreste sentiero”, emerge, altresì, l’attenzione dell’autrice per la natura, tant’è che le situazioni e gli ambienti descritti la riportano a rivedere “il giardino della sua infanzia e la bambina che correva felice verso il suo futuro”; “A risentire l’eco delle risate che accompagnava le corse nei campi”; “A rivivere le emozioni e i colori che emergono struggenti dallo scrigno del suo passato”.

Spesso, nelle sue liriche avvicina a sé le esperienze dei protagonisti, si sofferma a sublimare i veri valori, quali: la solidarietà, l’attenzione per gli anziani, la libertà per la cui conquista “anche la natura è in festa! Vuole partecipare alla gioia per la conquista dell’umana serenità”; “Oso pensare là, dove uguaglianza e libertà vanno per mano”; passi, quest’ultimi, tratti rispettivamente dalle poesie “25 Aprile” e “Fuggire”. La poetessa anche da situazioni spiacevoli trae la forza di continuare. Ama il proprio paese e prova il dolore dell’abbandono. Si sofferma sui cambiamenti apportati dal progresso e sui momenti di convivialità e di gioia per la raccolta dei frutti “grandi festa si facia, quandu a trebbia venia”.

I testi di tutte le poesie infondono canoni etici e valoriali di natura identitaria e sono espressione nobile di quella cultura didattico-educativa che è stato caposaldo fondante della nostra scuola pubblica. La dottoressa Prostamo in questa sua opera letteraria ha saputo anche attingere all’autorevole esperienza maturata in qualità di dirigente scolastico, professione che ha esercitato per diversi anni, senza però mai spogliarsi del primario ruolo di insegnante e della sua valenza sociale ispirata ai dettami costituzionali che sanciscono che: “La funzione di docente è intesa come esplicazione essenziale dell’attività di trasmissione della cultura, di contributo alla elaborazione di essa e di impulso alla partecipazione dei giovani a tale processo e alla formazione umana e critica della loro personalità”.

Così come accennato in premessa, contaminazioni di natura romantica e verista sono presenti nello stile della poetessa Prostamo. Le liriche, sovente, si elevano auree in quanto vi aleggia una “divina provvidenza” di manzoniana memoria. I componimenti veristi dell’autrice, che racconta eventi di vita quotidiana reale, sono però declinati con una peculiare alchimia narrativa che – così come avviene negli idilli leopardiani – mette in armonioso equilibrio “sensazioni, emozioni e riflessioni” riferite alla natura e all’io più intimo e profondo. Una narrazione poetica che contempla e riconnette l’uomo con il creato ed è, dunque, nettare per gli animi più sensibili.

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