giovedì,Aprile 25 2024

Enzo Insardà acclamato segretario: un “uomo di partito” per un Pd lacerato

Tra richiami alla responsabilità e aperture di facciata, scorre tutto secondo copione al secondo congresso provinciale dei democrat vibonesi

Enzo Insardà acclamato segretario: un “uomo di partito” per un Pd lacerato

Sul piano procedurale una mera ratifica. Su quello politico una messa cantata su un unico accordo. D’altra parte non poteva andare molto diversamente, con un candidato unico a fare la gara e le minoranze chiamatesi fuori dai giochi.

Il secondo congresso della federazione provinciale del Partito democratico vibonese è scivolato via così. La nave è giunta in porto senza scossoni, nonostante le burrasche che ne hanno caratterizzato buona parte della navigazione. Come da copione Enzo Insardà è il nuovo segretario provinciale dem, eletto per acclamazione dai delegati presenti nella sala del 501 hotel.

Sul piano dialettico è il politicamente corretto a farla, apparentemente, da padrone. “Responsabilità”, “unità”, “dialogo” i termini più gettonati per rimarcare la disponibilità all’apertura verso chi ha scelto di non esserci.

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Quindi, per corroborare la sincerità della mano tesa verso i dissidenti, la scelta di rinviare di una settimana l’elezione degli organismi direttivi che affiancheranno il nuovo segretario nell’arduo compito. “Porte aperte”, il mantra, oppure (in forma di lusinga) «una possibilità offerta a personalità di valore che non vogliamo lascino il partito».

Parole, tuttavia, contrappuntate da locuzioni meno concilianti. “Rispetto” (per la maggioranza s’intende), “legittimazione”, “rappresentatività”. Presenti dirigenti nazionali e regionali a mettere il sigillo di legittimità sui lavori (il segretario organizzativo Donato Riserbato e il suo corrispettivo calabrese Giovanni Puccio), il deputato Bruno Censore in veste di gran cerimoniere, il consigliere Michele Mirabello a «rivendicare» e «puntualizzare» il dovuto e a lanciare qualche stoccata “chirurgica”.

In sala esponenti della vecchia guardia e giovani leve, praticanti di fede convinta e “fulminati” sulla via di Serra San Bruno. Di politica vera, negli interventi programmati, poca e male in arnese: «al fianco di Oliverio sempre e comunque; sostegno al governo Renzi; impegno sul referendum; necessità di fronteggiare populismi vari». Il ragionamento, inevitabilmente, si avvita sui temi locali interni al partito. Piano sul quale, quasi ad esorcizzare potenziali spettri, è più volte ribadito che «No. Insardà non sarà un segretario dimezzato solo perché chi non ha caratura di essere dirigente non lo sostiene oggi». Giusto per dirla alla Censore.

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E tocca a Michele Mirabello esplicitare nei dettagli il pensiero maggioritario. «È stato, è vero, un percorso lastricato di difficoltà per via di legittime prese di posizione» ha detto. «Altra cosa è però la pretesa interdittiva di un processo democratico. Lavoreremo, fin dove si potrà, per un’idea inclusiva di composizione dei gruppi dirigenti. Per un riconoscimento al ruolo della minoranza. Dalla stessa ci aspettiamo reciprocità di comportamento. È democrazia riconoscere le minoranze, deve esserlo anche riconoscere la maggioranza». Quindi la metafora ad effetto: «i matrimoni si fanno in due. Noi ci siamo, ora attendiamo la sposa. Lo faremo per un’altra settimana».

Poi, nuovi richiami al senso di responsabilità: «quello che non è mai mancato a noi dal momento che, una volta sollevata la mia incompatibilità, non ho mai convocato gli organismi per rispetto agli iscritti. Ma non è neppure tollerabile – ha affondato – che il circolo cittadino di Vibo non si riunisca da prima delle elezioni; che non abbia fatto la benché minima analisi della sconfitta elettorale; che non rappresenti più un punto di confronto e dialogo per la città. In questo quadro non c’è spazio per “Aventini”. Ognuno torni al suo posto».

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Nel contesto, a distinguersi è, infine, proprio Insardà, che nel suo intervento riporta il ragionamento a quella matrice politica di cui si dimostra appassionato sostenitore. Parlando di “circoli”, “diritti”, “lavoratori”. Parlando di un «partito della cui vita possiamo essere protagonisti se partiamo dalla condivisione degli stessi valori, evitando personalismi e correntismi. Confrontandoci anche in maniera aspra ma diretta, non tramite i giornali. E una volta chiusa la porta della sede, nutrendo solidarietà ed affetto reciproci. Io lavorerò per includere», l’impegno.

Visione romantica di «un uomo di partito, al servizio del partito e della politica intesa essa stessa come servizio alla collettività». Scordiamoci il passato, la chiusa finale, «lasciamoci alle spalle ciò che è stato e ripartiamo lavorando insieme per il Pd e per la gente».

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