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Anno 1918, nel Vibonese il primo focolaio in Italia della “Spagnola”

La “Codogno” di un secolo fa si trovava nella futura provincia di Vibo. Qui si osservarono per la prima volta i sintoni della terribile malattia che si stima possa aver causato fino a 100 milioni di morti

Anno 1918, nel Vibonese il primo focolaio in Italia della “Spagnola”

Quante vittime ha fatto la “febbre spagnola”, la madre genetica di tutte le pandemie? In realtà non lo sa nessuno, ma le stime variano dai 50 ai 100 milioni di morti. Quello che si può affermare di sicuro è che il numero delle vittime della terribile epidemia, scoppiata negli anni in cui si combatteva la Prima guerra mondiale, fu superiore al numero dei caduti in guerra. Molti crederono che fosse giunta la fine dell’umanità.

La prima ondata di influenza passò sostanzialmente inosservata, in Italia come all’estero. La “febbre spagnola”, denominata così non perché provenisse dalla Spagna, ma perché le notizie arrivavano dal paese iberico che in quegli anni era neutrale e quindi non soggetto a censura di guerra, aveva fatto la sua prima apparizione nel marzo 1918, ma fu solamente verso la fine dell’estate che il virus cominciò a mostrare tutta la sua forza dopo una mutazione probabilmente avvenuta nel mese di luglio. [Continua]

La Calabria fu la prima regione in cui la “Spagnola” manifestò queste variazioni all’interno del suo quadro clinico. E infatti, proprio in quel luglio del 1918, iniziarono a verificarsi, in un piccolo comune calabrese, inquietanti morti causate da una strana influenza fuori stagione. I sintomi classici di una normale influenza degeneravano spesso in complicazioni polmonari che portavano alla morte nella maggior parte dei casi. La “Codogno” di un secolo fa, secondo la ricerca storica, viene individuata in Limbadi, centro attualmente in provincia di Vibo Valentia ma che all’epoca faceva parte della provincia di Catanzaro. Sembra che proprio a Limbadi si poterono osservare, per la prima volta, i sintomi che saranno poi attribuiti alla cosiddetta “febbre spagnola”. La situazione era diventata talmente allarmante che già nello stesso mese di luglio furono disposte autopsie sui corpi delle vittime. Partito da Limbadi, il contagio si allargò a Rosarno per poi diffondersi rapidamente nelle altre province calabresi. Il morbo colpì con particolare virulenza il paese di Longobucco (Cs) dove, si racconta, le campane smisero di suonare a morto talmente alto e continuo era il numero dei decessi.

Per qualche tempo sembrò che il contagio si fosse fermato al Sud, ma intorno a metà agosto cominciarono a morire in massa, per influenza degenerata in complicazioni polmonari, i giovani militari che si preparavano alla guerra in un centro di addestramento a Parma. Il contagio non risparmiò nessuna regione, tanto che i morti provocati dalla “Spagnola” in Italia furono 600.000, un numero di poco inferiore a quello dei caduti in guerra, che toccò i 650.000 morti.

Se molte sono le analogie con il Covid-19, vi è un dato in controtendenza rispetto ad oggi. Mentre la pandemia da Coronavirus ha provocato vittime soprattutto fra gli anziani, la “febbre spagnola” colpì soprattutto i giovani e i bambini. Gli storici affermano che, scorrendo i necrologi di quel periodo, emerge un numero impressionante di persone “scomparse nel rigoglio della giovinezza per un fatale e improvviso morbo”.

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