venerdì,Marzo 29 2024

Coronavirus Vibo, il dono di Ilenia allo Jazzolino: 10 caschi per battere il “mostro” – Video

La giovane di Porto Salvo ha avviato una raccolta fondi per l’acquisto dei sistemi di ventilazione assistita: «un jolly nella lotta alla malattia». In due giorni raccolti 3500 euro e si viaggia verso i 10mila

Coronavirus Vibo, il dono di Ilenia allo Jazzolino: 10 caschi per battere il “mostro” – Video

Per combattere il coronavirus serve mettere in atto una strategia a tutto campo, che passi dalla responsabilità personale sulle necessarie accortezze che ne limitino il contagio al sostegno di quanti si trovano in prima linea nella cura di chi, purtroppo, il virus lo ha già contratto.

Serve, in altre parole, fare fronte comune e andare incontro alle necessità che anche la sanità, in questo particolare momento, richiede. Specie dove questa è più debole e sofferente. Lo ha capito bene una giovane di Porto Salvo, Ilenia Iannello, la quale, consapevole della fragilità del sistema sanitario vibonese, non è rimasta con le mani in mano e si è chiesta in che modo sostenere il lavoro di medici e infermieri e alleviare le sofferenze dei malati. [Continua]

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Così, Ilenia ha avviato una raccolta fondi indirizzata ad una specifica esigenza manifestata dal reparto di terapia intensiva dell’ospedale Jazzolino di Vibo: quella di avere 10 caschi Cpap. Un’esigenza alla quale la giovane vibonese è risalita grazie ad un’infermiera del reparto Utic, Maria Teresa D’Ambrosio, che a sua volta l’ha messa in contatto con il capo sala Stefano Moscato che, a nome del primario Michele Comito, ha evidenziato la carenza di tali dispositivi. 

Si tratta, spiega Ilenia, di «sistemi di ventilazione assistita non invasiva, strategici per la cura dei pazienti colpiti da Covid-19. Hanno il vantaggio di essere efficaci e relativamente semplici da utilizzare, alleggerendo il “traffico” nelle terapie intensive, al limite delle loro capacità. La Lombardia ne ha acquistati più di duemila con i fondi stanziati dal Governo per la gestione dell’emergenza». Tali caschi sono «collegati a una macchina per la ventilazione. L’aria e l’ossigeno vengono immessi nel casco con una pressione positiva, cosa che aiuta gli alveoli polmonari ad aprirsi e a lavorare meglio. In pratica i polmoni del pazienze sono sottoposti ad una pressione continua. La ventilazione non invasiva viene utilizzata in tutti i pazienti con bronchiti croniche che vengono in ospedale in scompenso, o in chi ha un edema polmonare e fa fatica a respirare perché il cuore non funziona bene, praticamente in qualsiasi forma d’insufficienza respiratoria. Sono – afferma la promotrice della raccolta fondi -, un jolly per la lotta al coronavirus».

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L’iniziativa, lanciata sulla piattaforma gofundme, è stata un successo, e in due giorni è riuscita nell’obiettivo di acquistare 10 caschi Cpap per una spesa di circa 3500 euro, mentre la raccolta complessiva ha già superato la soglia dei 6mila euro su un obiettivo fissato a 10mila. «Ho provveduto a contattare un loro sicuro fornitore – spiega Ilenia -, O. Costa, il quale, una volta portato a conoscenza dell’iniziativa solidale, si è accodato alla nostra gara di solidarietà procedendo anche lui a partecipare e ad effettuare uno sconto. Tutto il materiale verrà consegnato all’ospedale stesso entro questa settimana. La raccolta fondi continua per poter permettere l’acquisto di altro materiale necessario. É stata ed è una bella gara di solidarietà, dove tutti si sono e si stanno mobilitando per contribuire. Persino associazioni e piccoli imprenditori, così come anche giovani ragazzi».

Il tutto nasce da un’esperienza personale. «Mi premeva in particolar modo fare la mia parte avendo familiari da tutelare ed essendo a conoscenza della fragilità della nostra struttura ospedaliera. 

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So bene che richiedere di donare per una struttura pubblica non è una cosa che si dovrebbe fare, proprio in quanto pubblica, però ho ritenuto altresì che questo non fosse il momento del fare polemiche, bensì il momento del fare e del dare un aiuto. Ho pensato così che anche stando a casa, perché è a casa che ora si deve stare, si potesse dare un aiuto concreto».

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