mercoledì,Maggio 15 2024

Il lupo è di casa nelle Serre vibonesi… ed è una buona notizia

Si susseguono gli avvistamenti della specie nell’area boschiva più interna della provincia. L’esperto: «Si tratta di una diffusione naturale che non comporta rischi per l’uomo»

Il lupo è di casa nelle Serre vibonesi… ed è una buona notizia
Una coppia di lupi fotografata a San Nicola da Crissa (foto Pelaia)

di Pino Paolillo*

In merito alle notizie di avvistamenti di lupi in provincia di Vibo, e alle voci di presunti “ripopolamenti” della specie, è opportuno fare alcune doverose precisazioni per riportare il fenomeno nell’alveo della verità scientifica. Che il lupo abbia ricominciato a frequentare territori calabresi, come le nostre montagne, da cui era scomparso da decenni, è un dato di fatto innegabile: è accaduto infatti che, dai territori silani che hanno fatto da “sorgente”, qualche individuo si sia spinto negli anni più a sud, fino a colonizzare le Serre vibonesi e l’Aspromonte.

Le cause della diffusione della specie, dopo secoli di accanita e crudele persecuzione che lo aveva ridotto ad un centinaio di esemplari in tutta Italia nei primi anni ’70 ( indagine promossa dal Wwf con esperti quali il professor Luigi Boitani e il tedesco Erik Zimen) sono da attribuire principalmente alla creazione di aree protette, alla diffusione di ungulati selvatici (in primis del cinghiale) come nuova risorsa alimentare e non tanto alla protezione legale (in quanto specie particolarmente protetta), quanto alla riduzione generale  della stagione venatoria che ha limitato la possibilità di incontri pericolosi (per il lupo naturalmente).

Ciononostante, ancora oggi, il principale fattore di mortalità, calcolato dagli studiosi tra il 10 e il 20% della popolazione italiana, è rappresentato dalla persecuzione diretta da parte dell’uomo (come purtroppo il recente, ma non nuovo, macabro episodio di Marcellinara ha dimostrato, dopo che un altro lupo aveva fatto la stessa fine: impiccato ad un cartello stradale, a novembre, nel territorio di Amato, entrambi nella vicina provincia di Catanzaro).

Detto ciò, contrariamente ad una credenza molto diffusa e a quanto sostenuto nei giorni scorsi da alcune testate giornalistiche “è utile precisare che in Europa, Italia inclusa, non sono mai stai pianificati né effettuati interventi di reintroduzione, ripopolamento o introduzione di lupi in ambiente selvatico” (Documento tecnico sul Lupo n. 23 dell’Istituto nazionale per la fauna selvatica – oggi Ispra – a cura di Paolo Ciucci e Luigi Boitani). Che bisogno ci sarebbe infatti di “ripopolare”, o reintrodurre, una specie che si sta diffondendo per cause naturali? Chi sostiene il contrario, ingenerando ulteriore allarme, dovrebbe nel contempo indicare quale ente, quando e dove si sarebbero verificati questi misteriosi “ripopolamenti” di lupi (e non di fagiani o di lepri).

Ma qual è l’entità numerica del “Fenomeno lupo”? Le stime ufficiali parlano di un totale di 1500-2500 lupi sparsi, si badi bene, su un territorio che va dall’Aspromonte alle Alpi, con una densità di 1-3 lupi/100 Km2 (stiamo parlando di predatori al vertice della piramide alimentare, non di topi). E questo dopo che la specie, fino a pochi decenni fa inserita dalla legge nell’elenco dei “nocivi”, è stata perseguitata in ogni stagione e con ogni mezzo, come la gassificazione delle tane e dei cuccioli, l’uso dei bocconi avvelenati con la stricnina o micidiali tagliole che straziavano i malcapitati (per non dimenticare i premi in denaro a chi portava le teste mozzate dei lupi eliminati).

Trattandosi di una specie piuttosto eclettica dal punto di vista alimentare (può trovare cibo nelle discariche così come aggredire grossi ungulati) in determinate circostanze gli è più “conveniente” predare animali da allevamento, arrecando danni agli allevatori, anche se non si può escludere a priori la responsabilità di cani vaganti o rinselvatichiti nelle predazioni a bestiame domestico, vista l’oggettiva difficoltà di identificare il predatore basandosi sui segni riscontrabili sulle carcasse. A proposito: non risponde al vero la diffusa opinione, utilizzata magari come criterio diagnostico, secondo cui il lupo attaccherebbe la preda sempre e solo alla gola e i cani al resto del corpo.

Sui timori ancestrali che la presenza del lupo continua a scatenare, è il caso di ricordare che l’ultima aggressione nei confronti dell’uomo si registrò a Gattinara (Vc) nel giugno del 1825 (!) e che il lupo, visto il trattamento non certamente benevolo che gli è stato riservato per millenni, cerca di evitare il suo principale nemico.

Quanto al problema dei danni al patrimonio zootecnico e alle conseguenti situazioni di conflitto che nessuno intende negare e che spesso sono alla base delle uccisioni di lupi, va affrontato facendo ricorso a tutte le misure di prevenzione efficaci, basate sulle conoscenze e sulle esperienze maturate in diverse realtà anche italiane. Ad esempio, l’uso di cani da pastore selezionati per la difesa del bestiame, come il Maremmano Abruzzese, il cane dei Pirenei o lo stesso Pastore della Sila, opportunamente addestrati, può senz’altro servire per tenere lontani i lupi. Sono auspicabili inoltre misure di sostegno per le aziende vulnerabili alla predazione, favorendo una più adeguata protezione delle greggi, sia allo stato brado che nei recinti, promuovendo una politica di informazione degli allevatori su tutte le misure idonee per limitare al massimo le opportunità di contatto tra il lupo e il bestiame. 

Massimo rispetto e considerazione dunque per il lavoro degli allevatori, ma rifiutiamo l’idea di un mondo in cui ci sia solo spazio per l’uomo; questa sì, specie invasiva e distruttrice, in nome di una presunta e autoproclamata superiorità.

*Responsabile Settore conservazione Wwf Vibo Valentia

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