martedì,Marzo 19 2024

Il virus che uccide anche la giustizia e il processo penale

Intervento dell’avvocato del Foro di Vibo Giovanni Vecchio che mette in guardia dai pericoli delle udienze “da remoto” e dietro lo schermo di un computer. Una “trovata” che svilisce i processi, il ruolo del difensore e calpesta il diritto

Il virus che uccide anche la giustizia e il processo penale
L’avvocato Giovanni Vecchio

Dall’avvocato Giovanni Vecchio del Foro di Vibo Valentia riceviamo e pubblichiamo:

Il coronavirus ha portato cambiamenti profondi nella vita personale e professionale di ognuno di noi. Io, da ormai veterano avvocato penalista, mi trovo oggi ad assistere alla introduzione, proposta dal Governo, dei commi 12 bis, ter e quater all’art. 83 del D.L. n. 18/20. Con tali norme si demanda ai giudici, senza il previo consenso dei difensori, la possibilità di decidere che il processo si svolga “da remoto”, ossia tramite applicativi come Skipe e Teams, prodotti commerciali assolutamente inidonei a garantire sicurezza e protezione dei dati (sensibili) del processo. Senza soffermarsi su dettagli tecnici e giuridici, si tratta, in parole povere, di smaterializzare l’udienza e la Camera di Consiglio dei giudici.

Orbene, se contrariamente a quanto è avvenuto ormai da anni in ambito civile, il processo penale telematico non è stato introdotto, c’è una ragione chiara e incontestabile. L’eliminazione del luogo fisico di udienza e della presenza fisica dei soggetti del processo mina irreparabilmente le fondamenta del processo penale, ovvero il diritto di difesa e il contraddittorio, che presuppongono l’oralità e l’immediatezza dell’accertamento giudiziale. Gli avvocati penalisti italiani sono consapevoli dell’eccezionalità del momento e dell’esigenza di conciliare la tutela della salute con il funzionamento della Giustizia e pertanto, tramite l’Unione delle Camere Penali Italiane, hanno offerto al Governo la massima collaborazione, in modo costruttivo e propositivo. Gli avvocati penalisti sono ovviamente favorevoli, per esempio, ad ogni forma di semplificazione per quanto attiene alle comunicazioni (tramite l’utilizzo della PEC) e alla disponibilità degli atti di causa.
Al contempo, gli avvocati penalisti sono contrari al processo da remoto, ritenendo che tale modalità di svolgimento dell’udienza, della Camera di Consiglio e ancor di più degli atti di indagine, sia pericolosa per uno Stato di Diritto. I principi e le garanzie contenuti nella nostra Carta Costituzionale non possono essere derogati o sospesi neanche a fronte dell’emergenza causata da una pandemia, che, comunque, in alcun caso può costituire occasione per modifiche riguardanti una materia così delicata, quale indubbiamente è quella del processo penale. Ogni modifica riguardante questo settore non può prescindere da un attentissimo vaglio da parte di giuristi veri, prudenza, ponderazione ed un iter legislativo che non si può effettuare con un decreto. Purtroppo, invece, siamo oramai quasi quotidianamente sommersi da provvedimenti fiume estemporanei riguardanti le materie più disparate, tra cui anche il processo penale, appunto.

Tali provvedimenti denotano nella migliore delle ipotesi preoccupante incompetenza e, nella peggiore delle ipotesi, un allarme per la democrazia; anche per il timore che ciò che viene fatto in un momento di emergenza diventi poi permanente. Ciò non può essere consentito! Solo chi non ha la minima esperienza del processo penale può ritenere che una udienza che si svolga attraverso lo schermo di un computer possa sostituire la partecipazione fisica dei soggetti e possa attuare quei meccanismi sofisticati di osservazione, valutazione e intervento. Il processo penale è connotato dalla dialettica, dal contraddittorio, dall’immediatezza e ciò non può avvenire attraverso un monitor, in assenza di quel luogo fisico che è l’aula di udienza in cui si trovano tutti i soggetti del processo. Nei giorni scorsi ho vissuto in prima persona l’esperienza di una udienza da remoto. Ognuno dei partecipanti era distante centinaia di chilometri dall’altro. Ho pensato che fosse indubbiamente una enorme comodità e un grande risparmio, anche in termini di tempo, partecipare ad una udienza stando comodamente seduti alla scrivania del proprio studio. Ma se questa modalità di svolgimento del processo da una parte accorcia, anzi elimina alcune distanze, al contempo, paradossalmente, ne crea altre immense e incolmabili, rendendo addirittura evanescente il ruolo di coloro che vi partecipano: non solo il ruolo dell’imputato e dell’avvocato, ma anche quello del giudice. Quelli che esprimo non sono preconcetti o remore di chi dopo molti anni di professione non è propenso ad accettare il cambiamento, bensì questioni di fondamentale rilievo che impongono una seria riflessione.

Mi tornano alla mente le parole di Rosario Livatino, grande magistrato, il quale disse che affinché un giudizio sia giusto occorre che il giudice sia “disposto e proteso a comprendere l’uomo che ha di fronte e a giudicarlo senza atteggiamento da superuomo, ma anzi con costruttiva contrizione”. Si può immaginare che una tale comprensione possa avvenire attraverso uno schermo? A mio sommesso avviso non è possibile. Perciò, una volta terminata l’udienza da remoto, ho avuto la consapevolezza della fine del processo penale che ho conosciuto nel corso dei 36 anni in cui ho portato la toga sulle spalle con orgoglio. Inoltre, per la prima volta da quando esercito questa professione, mi sono sentito come un soggetto passivo dell’udienza. Tanto per rendere l’idea: basta che il giudice schiacci un tasto e l’avvocato viene zittito od oscurato. Così, in sostanza, si svilisce del tutto il ruolo del difensore, che invece è assolutamente essenziale affinché possano trovare applicazione le garanzie costituzionali.

In sintesi, dunque, questa riforma non solo decreta la fine del processo penale, ma è la spallata decisiva per distruggere una professione che inopinatamente viene ogni giorno sempre più sminuita e vilipesa. Ed è triste e preoccupante che i più oramai non comprendano l’enorme importanza dell’avvocato penalista, che è considerato quasi come un intralcio alla giustizia, un ostacolo alla condanna; mentre, invece, è un vero e proprio baluardo della democrazia. E specialmente in periodi eccezionali come quelli che stiamo vivendo, durante i quali in nome dell’emergenza si limitano per decreto diritti costituzionali mentre il Parlamento tace, il ruolo di garanzia e anche di controllore dell’avvocato diventa ancora più importante. Non dobbiamo commettere l’errore fatale di dimenticare che sono occorsi centinaia di anni e molte battaglie per la conquista di tanti diritti fondamentali della persona, come ad esempio il diritto al giusto processo, dei quali a noi oggi sembra assolutamente normale godere. E dobbiamo avere chiaro in mente che per cancellare quei diritti basta soltanto un attimo!”

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