venerdì,Marzo 29 2024

Rinascita Scott: Mantella e l’usura dell’imprenditore Ferrante, fra politici e mafiosi

Il collaboratore svela il ruolo dell’imputato nella sparizione di Nicola Lo Bianco. I legami con i Mancuso ed il boss Vallelunga, il sostegno elettorale a Nazzareno Salerno e gli affari con un consigliere comunale di Vibo. Le estorsioni ad un concessionario e il finanziamento per una partita di cocaina

Rinascita Scott: Mantella e l’usura dell’imprenditore Ferrante, fra politici e mafiosi
Continuano le rivelazioni di Andrea Mantella (nel riquadro)
Gianfranco Ferrante

La rete di usura messa in piedi dall’imprenditore Gianfranco Ferrante di Vibo Valentia, le estorsioni “chiuse” in città, gli incontri nel suo Cin Cin bar ed un enorme giro di denaro. In tanti sarebbero stati in affari con Gianfranco Ferrante compreso un attuale consigliere comunale di Vibo Valentia. Andrea Mantella nel corso del maxiprocesso Rinascita Scott si è a lungo soffermato sul ruolo di tale imputato, spiegando diversi retroscena in relazione a molteplici avvenimenti avvenuti a Vibo nel corso degli ultimi due decenni. “Gianfranco Ferrante era legato al boss Damiano Vallelunga ed ai Mancuso – ha affermato Mantella – ed era come una sorta di Banca d’Italia della ‘ndrangheta, praticando l’usura e prestando denaro a diversi soggetti in affari con lui”. [Continua in basso]

Antonio Curello

Fra i soggetti insieme ai quali Ferrante avrebbe praticato l’usura, Andrea Mantella ha indicato “Antonio Curello, il consigliere comunale di Vibo Valentia, al quale Ferrante – ha dichiarato il collaboratore – finanziava il denaro che doveva essere poi girato ad usura. Curello era cognato di Pino Barba” ed anche nipote acquisito di Enzo Barba, detto Il Musichiere”. Antonio Leoluca Curello (non indagato), già vice capogruppo di Fratelli d’Italia nel Consiglio comunale di Vibo Valentia, è stato eletto nel maggio del 2019. Ex consigliere comunale e provinciale del Pd sino al 2014, dal 2005 al 2010 è stato consigliere comunale con la lista Socialismo e Libertà. Poi nel 2019 ha svoltato a destra ed è stato eletto fra le fila di Fratelli d’Italia a sostegno dell’attuale amministrazione comunale guidata dal sindaco Maria Limardo, pur non essendo poi mai stato tesserato nel partito di Fdi (da ricordare che il Comune di Vibo si è costituito parte civile nel processo Rinascita Scott).

Damiano Vallelunga

Altri personaggi indicati da Mantella come soci in affari nell’usura di Gianfranco Ferrante sono stati: Diego Bulzomì di Vibo Valentia, Domenico Ciconte di Sorianello, detto “Berlusconi” (non indagati in Rinascita Scott), Enzo Barba “legato da amicizia storica a Ferrante”. I soldi da girare poi ad usura, secondo Mantella, sarebbero stati prestati a Ferrante dal boss di Limbadi Cosmo Michele Mancuso e dal genero di quest’ultimo Giuseppe Raguseo. Altra parte dei soldi sarebbe stata consegnata a Ferrante dal boss di Serra San Bruno, Damiano Vallelunga, il quale avrebbe protetto l’imprenditore anche dalle pretese iniziali di Andrea Mantella. Ferrante ogni anno si faceva il giro degli imprenditori portandomi i soldi – ha dichiarato il collaboratore – e ogni anno mi regalava un cestino a Natale con dentro circa 1.500 euro. A sua volta i Bonavota di Sant’Onofrio battevano cassa da Ferrante prelevando il denaro necessario a pagare la mia detenzione. Ferrante era legato pure ad Antonio Mancuso, Pantaleone Mancuso detto Vetrinetta, e Giovanni Mancuso. E’ stato Ferrante – ha aggiunto Mantella – a presentarmi al Cin Cin bar Cosmo Michele Mancuso ed è stato sempre Ferrante a mandare pranzo e cena mentre ero ricoverato in ospedale a Vibo, sul finire degli anni ’80, nella stessa stanza con Pantaleone Mancuso detto Scarpuni. Al Cin Cin bar pure io ho partecipato a riunioni di tipo ‘ndranghetistico e nel locale ho visto anche Francesco Mancuso, detto Tabacco, e Pantaleone Mancuso, detto l’Ingegnere”. Pantaleone Mancuso, alias Scarpuni, avrebbe poi mandato – tramite Ferrante – un messaggio a Mantella per non far “toccare” una ditta di “Limbadi che era riuscita a piazzare i distributori automatici di bevande e caffè all’ospedale, al Tribunale e nelle caserme dei carabinieri”. [Continua in basso]

Paolino Lo Bianco

Le estorsioni a Vibo e il ruolo di Ferrante

Andrea Mantella, rispondendo sempre alle domande del pm della Dda di Catanzaro Antonio De Bernardo, è poi entrato nello specifico di alcune vicende estorsive. “Fra coloro che hanno pagato l’estorsione a Ferrante c’era Zagarella, concessionario della Peugeot a Vibo Valentia. Zagarella era solito frequentare una bisca – ha riferito Mantella – e poiché la concessionaria era stata sparata da Giuseppe Pugliese Carchedi, Michele Pugliese Carchedi e Roberto Cutrullà, Ferrante si mise in mezzo per chiudere l’estorsione. A mandare questi ragazzi a sparare alla concessionaria di Zagarella sono stati Filippo Catania e Paolino Lo Bianco. Zagarella si rivolse a Ferrante e l’estorsione venne chiusa con il riconoscimento in mio favore della dazione di 25mila euro. Un’altra parte dei soldi la prese il mio braccio-destro Francesco Scrugli che quasi si impadronì della concessionaria – ha ricordato Mantella – nel senso che era spesso nell’autosalone e scambiava le auto. Io i soldi dell’estorsione a Zagarella, che mi sono stati portati da Ferrante, li ho divisi con Enzo Barba, Paolino Lo Bianco e Filippo Catania. Zagarella ha continuato a pagare ogni anno perché è rimasto in amicizia con Francesco Scrugli. Quando io avevo bisogno di soldi – ha aggiunto Mantella – Ferrante andava a bussare da Zagarella e da altri imprenditori come i commercianti Giannini e Artusa”.
Da precisare che per il danneggiamento a colpi d’arma da fuoco della saracinesca della concessionaria Peugeot “Auto Z” di Alessandro Zagarella, avvenuto il 14 gennaio 2005 a Vibo Valentia, le indagini effettuate dalla Squadra Mobile di Vibo Valentia avevano evidenziato elementi di colpevolezza a carico di Giuseppe Pugliese Carchedi, Michele Pugliese Carchedi e Roberto Cutrullà, che però erano stati poi assolti: i primi due dalla Corte d’Appello, mentre il terzo dal giudice di primo grado.

Carmelo Lo Bianco (Sicarro)

Ferrante, la sparizione di Nicola Lo Bianco e il carico di droga

E’ il 1997 e da Vibo Valentia sparisce per “lupara bianca” Nicola Lo Bianco, figlio del boss Carmelo Lo Bianco, detto Sicarro, all’epoca detenuto nel carcere di Spoleto per riciclaggio di denaro derivante da due sequestri di persona compiuti negli anni ’80 nel Reggino dal clan Alvaro di Sinopoli. Uscito dal carcere, Carmelo Lo Bianco detto Sicarro si incontrò al cimitero di Vibo con il cugino Carmelo Lo Bianco detto Piccinni e gli riproverò di non essere stato in grado di salvaguardargli l’unico figlio maschio che aveva, cioè Nicola Lo Bianco. Carmelo Lo Bianco, alias Piccinni, – ha affermato Mantella – spiegò però al cugino che aveva consegnato 150 milioni di lire al boss Antonio Mancuso di Limbadi per consegnarli ai Campisi di Nicotera con i quali Nicola Lo Bianco aveva un debito di droga. Antonio Mancuso fece però sapere a Piccinni che per Nicola Lo Bianco non c’era più niente da fare perché era stato ucciso. Carmelo Lo Bianco, Piccinni, portò poi al cospetto di Carmelo Lo Bianco, Sicarro, alcuni nipoti di Pannaconi di Cessaniti che avevano visto Gianfranco Ferrante spingere Nicola Lo Bianco in un’auto il giorno della sparizione”. Una versione, quest’ultima, non creduta tuttavia da Carmelo Lo Bianco, Sicarro, il quale avrebbe preso le difese di Gianfranco Ferrante. “Da allora – ha aggiunto Mantella – i rapporti fra i due cugini Lo Bianco si guastarono”.

Riguardo la figura di Gianfranco Ferrante, Andrea Mantella ha poi raccontato che l’imputato-imprenditore avrebbe “finanziato un traffico di droga consegnando i soldi a Francesco Scrugli ed ai Piscopisani. L’accordo era – ha spiegato il collaboratore – che qualora il traffico di stupefacenti fosse andato bene, una parte dei ricavi doveva andare allo stesso Ferrante”. [Continua in basso]

Nazzareno Salerno

Sempre Ferrante, a detta di Mantella, avrebbe poi sostenuto elettoralmente il consigliere regionale di Forza Italia (poi divenuto assessore regionale), Nazzareno Salerno di Serra San Bruno, “per il tramite di Damiano Vallelunga”, mentre per altra vicenda si sarebbe registrato uno “scontro” con Orazio Lo Bianco di Vibo Valentia, alias “U Tignusu”, fra i principali imputati di Rinascita Scott. Ferrante era riuscito ad aprire una tavola calda con i Bonavota all’interno di un centro commerciale mentre l’attività di surgelati era gestita dai Ceravolo. Orazio Lo Bianco con Antonio Pugliese e Rosario Pugliese, i Cassarola, stavano facendo degli abusi – ha raccontato Mantella – a questi imprenditori dei surgelati e Ferrante mi mandò a chiamare. Siamo nel 2010 ed io contattai Antonio e Rosario Pugliese, detti Cassarola, miei parenti con i quali mi rispettavo, per dire loro di intervenire su Orazio Lo Bianco al fine di lasciare in pace questi Ceravolo dei surgelati”.

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