giovedì,Marzo 28 2024

‘Ndrangheta: ascesa e declino del clan dei Piscopisani nella deposizione di Moscato

Il collaboratore di giustizia ha delineato i rapporti fra i componenti della cosca, le alleanze ed i contrasti. Il controllo mafioso del territorio, da Piscopio a Vibo Marina

‘Ndrangheta: ascesa e declino del clan dei Piscopisani nella deposizione di Moscato
Rosario Battaglia

Rosario Battaglia si fidava ciecamente di me perché io non mi tiravo mai indietro. Se c’era da fare un’estorsione, una rapina, una gambizzazione, rubare delle auto, preparare un’evasione come nel caso di Bruno Emanuele, io c’ero sempre, ero pronto a qualsiasi cosa. E sempre nell’interesse del clan dei Piscopisani nel quale sono entrato formalmente, venendo affiliato, nel 2010. I soggetti che prendevano le decisioni erano Rosario Battaglia, Rosario Fiorillo e Michele Fiorillo. Ma alla fine siamo rimasti attivi solo io e Rosario Battaglia. Ho raggiunto il grado del Vangelo all’interno della ‘ndrangheta, ma sono sempre stato un azionista e mai un capo, dovevo dare conto a Rosario Battaglia. Naturalmente, se dovevo incendiare a Vibo Marina, ad esempio, il bar ad Antonio Vacatello, lo facevo tranquillamente senza chiedere il permesso a nessuno”. Parola di Raffaele Moscato, ex killer ed azionista del clan dei Piscopisani nel corso della sua deposizione nel processo Rimpiazzo che si sta tenendo dinanzi al Tribunale collegiale di Vibo Valentia. [Continua in basso]

Nazzareno Fiorillo

Le delusioni arrivarono già nel 2011 – ricorda il collaboratore – perché avevamo diversi traditori all’interno del nostro stesso clan. In materia di traffico di sostanze stupefacenti operavano in particolar modo i fratelli Davide e Sasha Fortuna che se dovevano prendere decisioni in tale settore lo facevano. Trafficavano anche armi ed erano battezzati nella ‘ndrangheta. Il clan dei Piscopisani era attivo a Piscopio, Vibo Marina, Longobardi, Bivona e Portosalvo ed era alleato ai Tripodi-Mantino che già controllavano le Marinate. Le riunioni del clan dei Piscopisani avvenivano alla Loggia, così chiamata la campagna di Nazzareno Fiorillo, detto U Tartaru, posto a capo del nuovo locale di ‘ndrangheta di Piscopio. Alle riunioni del clan dei Piscopisani partecipavano alcune volte pure Salvatore Vita e Franco Dascola, che facevano parte del clan dei Tripodi. Si partiva sempre dalla Loggia per le azioni criminali, così per le rapine, i furti dei furgoni e delle auto, e lì si decidevano le estorsioni. Solo in epoca successiva – ha riferito Moscato – ci siamo spostati a Vibo Marina in via Arenile in un appartamento di Davide Fortuna. Ricordo che i Tripodi giravano parte dei soldi ai Piscopisani per le estorsioni sul territorio di Vibo Marina. In ogni caso di tutti i soldi che entravano ed uscivano dalla cassa del clan bisognava dare conto a Michele Fiorillo, detto Zarrillo. I contrasti con i Mancuso erano in realtà solo con Pantaleone Mancuso, detto Scarpuni. Su Vibo Marina storicamente il controllo mafioso è sempre stato esercitato dai Tripodi di Portosalvo – ha spiegato Moscato – ma poi si sono inseriti pure Cosmo Michele Mancuso e Pantaleone Mancuso, detto Scarpuni, e solo successivamente – ucciso Michele Palumbo – siamo subentrati noi Piscopisani. C’era confusione in quel periodo a Vibo Marina e c’erano dei pontili che interessavano Pantaleone Mancuso, detto Scarpuni”.

I legami dei Piscopisani con i reggini e le armi

Francesco La Bella

Secondo Raffaele Moscato, il clan dei Piscopisani sin dalla nascita avrebbe goduto del sostegno e dell’appoggio da parte di famiglie storiche della ‘ndrangheta. “I Piscopisani avevano rapporti con Giuseppe Pelle, detto Gambazza, di San Luca, con Giuseppe Commisso di Siderno, detto U Mastru, e con gli Aquino di Marina di Gioiosa Ionica. Avevamo rapporti anche con Franco D’Onofrio e Peppe Catalano che operavano in Piemonte. Sono state queste famiglie a battezzare il nuovo locale di ‘ndrangheta di Piscopio, con Rosario Battaglia che ha saltato il grado di picciotto divenendo subito camorrista. Il clan dei Piscopisani disponeva di molte armi da fuoco: tre o quattro kalashnikov, una decina di fucili e pistole di vario calibro. Le armi venivano custodite da Franco La Bella, detto Camagna, oppure nascoste in un sottotetto dietro il bar di Piscopio gestito da Giovanni Battaglia. Anche Saverio Merlo – ha ricordato il collaboratore – sapeva dove erano nascoste le armi”.

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