giovedì,Aprile 25 2024

Detenuti in sciopero al carcere di Vibo: «Ci hanno tolto anche la dignità»

In un lungo e articolato documento i reclusi nella sezione Alta sicurezza denunciano disservizi e la sistematica violazione dei loro diritti fondamentali, invocando un’ispezione ministeriale e provvedimenti contro i dirigenti. «Qui fallisce ogni giorno il principio riabilitativo della pena» scrivono

Detenuti in sciopero al carcere di Vibo: «Ci hanno tolto anche la dignità»

C’è tensione nel carcere di Vibo Valentia, dove dal 24 ottobre scorso i detenuti della sezione Alta sicurezza hanno intrapreso una protesta pacifica per reclamare trattamenti più umani all’interno dell’istituto di pena e denunciare quelle che a loro avviso rappresentano violazioni dei loro diritti fondamentali.

A dare il “la” alla protesta l’ultimo drammatico caso che si è consumato tra le mura del carcere vibonese con la morte di Giuseppe Barbaro, deceduto a causa di un male che lo attanagliava da tempo ma che, ad avviso dei reclusi, non era stato adeguatamente valutato in termini di «assistenza sanitaria e monitoraggio h24».

Ma il caso Barbaro, scrivono i detenuti in una lunga lettera, sarebbe solo la punta di un iceberg fatto di «suicidi, negligenze nelle cure, disservizi», fattori che fanno sentire gli stessi detenuti a «repentaglio, dal punto di vista sia fisico che mentale» e gli fanno invocare l’avvio di approfondite indagini interne da parte della Commissione ministeriale nonché reclamare a gran voce la sospensione del direttore, del commissario e del dirigente sanitario dell’istituto.

Nelle 24 pagine del documento, oltre a descrivere minuziosamente le criticità vissute dalla popolazione carceraria, si mette in evidenza come i principi riabilitativi della pena vengano vanificati da condizioni descritte al limite della dignità umana. «Considerato che il principio e l’utilità di un carcere nella sua totale essenza – scrivono i detenuti -, dovrebbe essere collocato sull’unico binario di far intraprendere al detenuto un percorso di rieducazione e reinserimento nella società, con l’unico fine che un detenuto, espiata la propria pena, debba essere una persona migliore rispetto a quanto ha fatto ingresso nel sistema penitenziario italiano, a Vibo tale principio sembra essersi smarrito».

La struttura penitenziaria viene infatti descritta come «non funzionale come ben pochi altri penitenziari sparsi sul suolo italiano. Non funzionale, nelle più piccole cose e nelle più banali della quotidianità, che potrebbero migliorarsi, in modo gratuito, come nelle cose più importanti che comportano grandi spese economiche».

LETTERE DAL CARCERE | «Nel penitenziario di Vibo calpestati i diritti umani»

Cose che, aggiungono, «osservate singolarmente, possono sembrare piccolezze, ma nell’insieme, rendono inservibile nel fine, il principio della detenzione e della condanna che ogni singola persona detenuta deve espiare».

Usando un paragone ad effetto, spiegano «è come tener chiuso un animale selvatico, un leone, un coccodrillo, in una gabbia, in cattività. Per anni. E uscito, pretendere da esso si sia moderato della sua essenza naturale… Tanto vale non sprecare risorse di mantenimento di una gabbia, e mantenimento gestionale, ma chiudere in una zona delimitata e controllata, chiunque abbia l’essenza di predominare e l’indole di non moderarsi, per vivere libero in una comunità di suoi simili».

Facendo un parallelo con altri sistemi carcerari europei, i detenuti attribuiscono a quello italiano la “maglia nera” e al carcere vibonese un livello ancor più basso. «Qui – specificano – si registra il massimo dell’inefficienza su scala nazionale. Responsabilità da attribuire all’amministrazione penitenziaria nella sua totalità, al direttore, al commissario e al personale di guardia e sicurezza». E ancora «all’area educativa e di trattamento e all’area sanitaria di un istituto nel quale non esiste la figura del “Garante detenuti”. Qui sembra vigere un ordinamento a sé» volto a «creare disagi al detenuto su ogni profilo, genere e sorte».

Chi esce da questa struttura, incalzano, «uscirà solo un rancore verso l’Istituzione. In codesta struttura, in codeste circostanze, si apprende solamente la privazione, ma non privazione della libertà. Privazione di affetto, del libero arbitrio, delle cose più ovvie e sciocche, della propria dignità! Privazione di tutto ciò che un qualsiasi penitenziario d’Italia è cosa ordinaria e di ordinaria amministrazione».

Segue quindi un lunghissimo e mesto elenco delle disfunzioni cui i detenuti denunciano di essere sottoposti. «Ventuno ore sulle 24 quotidiane – elencano -, i detenuti stanno chiusi in cella. Gabbiette dove il detenuto viene ubicato a scelta del commissario, in base a propria simpatia e capricci. Senza alcun criterio in una dura convivenza forzata, costretti a sopportarsi l’un l’altro o a far da badante e piantone a persone più avanti con l’età o con vari problemi di salute».

Non esiste, poi, «la telefonata d’ingresso. Chi arriva non può comunicare alla famiglia dove si è giunti. Viene negato il diritto alla difesa, vietando i colloqui telefonici con gli avvocati o se accettati, vanno ad eliminazione sui colloqui telefonici con i congiunti, comunque limitati a 2 mensili».

Ancora, «i pacchi in entrata, si ritirano dopo settimane dall’ingresso nell’istituto mentre per i pacchi in uscita l’attesa arriva ad essere mensile, trimestrale e semestrale. Non è possibile far entrare alcunché: che siano alimenti, libri, cancelleria, Cd o lettori musicali, radioline. Neanche orologi, profumi, deodoranti o rasoi. È possibile però far entrare numero 3 musicassette (in un’era in cui le musicassette non esistono più in commercio). Qui siamo a Vibo Valentia, siamo rimasti nell’era delle musicassette. Sembra ironico, ma drasticamente è la realtà! “Qui siamo a Vibo” ci sentiamo ripetere».

Ulteriori disagi, a detta dei detenuti, si registrano nel settore dell’assistenza sanitaria. «L’istituto dovrebbe avere un’assistenza di totale copertura medica h24. Nei fatti vi è h12, essendo che sempre più spesso l’assenza dei medici, con l’infermiere che non può far altro che offrire un farmaco “generico”, tant’è vero che i detenuti lo abbiamo definito la “pillola di padre Pio”, la pillola bianca, buona per tutti i malesseri».

Peggio solo «l’ambulatorio dentistico, da definire fatiscente, che meriterebbe una semplicissima ispezione che lo dichiarerebbe subito inagibile. Se il ministro della Salute, lo visionasse personalmente, non potrebbe che giudicare le performance dello specialista diversamente che squallide e fonte d’infezione di ogni genere per i pazienti».

Ancora, trovano spazio nel lungo elenco problemi legati alla circolazione di denaro, alle stoviglie, al vestiario, alle scarpe, alle condizioni degli spazi interni ed esterni ai familiari in visita, all’ora d’aria e all’utilizzo degli spazi esterni da parte dei detenuti, all’assenza della lavanderia, alla carenza e alla qualità dell’acqua, ecc. «Purtroppo – conclude il lungo dossier – queste circostanze tendono a distruggere gli affetti dei detenuti, ad aumentare la pressione psicologica e a renderli esasperati, in molti casi mal curati». Invocano quindi «ispezioni e provvedimenti» o sarà sciopero «ad oltranza finché non si avranno riscontri sulla nuda e cruda realtà denunciata».

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