giovedì,Aprile 25 2024

Tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso: in carcere a Vibo Domenico Franzone

L’arresto scaturisce dall’inchiesta della Dda di Catanzaro e dei Carabinieri conclusa a febbraio scorso a seguito della denuncia di due imprenditori

Tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso: in carcere a Vibo Domenico Franzone

I carabinieri della sezione operativa della Compagnia di Serra San Bruno hanno compiuto un altro arresto nell’ambito dell’operazione scattata a febbraio scorso e denominata “Mbasciata”, con la quale erano finiti in carcere Emilio Pisano e Vincenzo Puntoriero. Oggi, invece, destinatario del provvedimento di custodia in carcere è Domenico Franzone, 62 anni di Vibo Valentia, con l’accusa di tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso. L’arresto è stato effettuato ieri pomeriggio col supporto in fase esecutiva dei militari del Nucleo investigativo e della Radiomobile di Vibo Valentia. Il provvedimento, come detto, scaturisce dall’inchiesta coordinata dalla Dda di Catanzaro iniziata a febbraio 2018, quando due imprenditori edili, originari di Arena, hanno denunciato un tentativo di estorsione posto in essere in più occasioni tra Vibo Valentia e Arena. Nella circostanza, i due imprenditori, fratelli tra di loro, hanno denunciato che mentre stavano eseguendo un lavoro per il ripristino delle condutture fognarie nel capoluogo di provincia, ottenuto mediante affidamento diretto, sono stati avvicinati in almeno tre circostanze da Pisano e Puntoriero, entrambi già arrestati lo scorso 14 febbraio. [Continua dopo la pubblicità]

In un’altra circostanza uno dei titolari della ditta che doveva eseguire i lavori a Vibo Valentia, sarebbe stato avvicinato, in una piazza del centro cittadino, tra gli altri, anche dal Franzone. Inizialmente, non era stata emessa misura nei confronti di quest’ultimo ma, in seguito all’appello proposto dal pm della Dda di Catanzaro, la seconda sezione penale del Tribunale di Catanzaro aveva disposto la custodia in carcere nei confronti dello stesso Franzone, che però aveva presentato ricorso in Cassazione. La Suprema corte si è pronunciata ritenendo inammissibile il ricorso: da qui l’arresto ad opera degli uomini del capitano Marco Di Caprio.

L’appartenenza di Franzone al clan Lo Bianco. Il Tribunale del Riesame ha evidenziatoche la vicenda estorsiva è avvenuta in un territorio nel quale risulta operativa la cosca di ‘ndrangheta dei Lo Bianco alla quale Franzone è stato ritenuto partecipe con sentenza definitiva nell’ambito dell’operazione “Nuova Alba”. La vicenda in esame va quindi inquadrata in due fasi: nella prima le condotte di Emilio Pisano e Vincenzo Puntoriero (per le quali il gip ha ritenuto la gravità indiziaria) costituiscono la “prima frazione del disegno criminoso consistita in una minaccia vera e propria costellata da riferimenti agli amici di Vibo e culminata nella pretesa economica quantificata in duemila euro. Allo stesso modo la seconda frazione dell’attività delittuosa è consistita nell’intervento di Franzone pochi giorni più tardi.

In occasione dell’incontro con Maiuolo Raffaele, Domenico Franzone ha infatti agito con le stesse modalità accertate in altre sedi giudiziarie, evitando di esternare in questa fase un’ulteriore minaccia e limitandosi piuttosto a manifestare una disponibilità, invero neanche richiesta, a prestare aiuto al Maiuolo contro eventuali pretese di denaro da parte di terzi facendo allusioni a molte famiglie bisognose, in tal modo rafforzando nella vittima la percezione di un clima ostile e di un contesto ambientale caratterizzato da regole imposte dalla criminalità organizzata alle quali ogni imprenditore deve sottostare. La carica intimidatoria del messaggio rivolto al Maiuolo si ricava inoltre dal fatto che Franzone si presentava come ex detenuto lasciando intendere alla vittima di essere un personaggio navigato in contesti delinquenziali e dunque esperto delle dinamiche criminali locali”.

Tutto ciò per il Tribunale del Riesame è valso ad integrare gli estremi del delitto di estorsione nella forma tentata, aggravata dalle modalità mafiose, trovandosi in presenza di “un’unica regia criminale che è solita agire avvalendosi del contributo di diversi emissari attraverso cui è in grado di pervenire alla vittima designata la pretesa estorsiva. Restano indagati a piede libero Carmelo D’Andrea, 61 anni, detto “Coscia d’Agneju”, e Filippo Catania, 68 anni, cognato del defunto boss Carmelo Lo Bianco, detto “Piccinni”. Per loro il gip ed il Riesame hanno rigettato la richiesta misura cautelare avanzata dalla Dda.

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