venerdì,Marzo 7 2025

Tentata estorsione, da rifare il processo all’ex presidente della Camera di Commercio di Vibo

Per la Cassazione l’aggravante mafiosa non va esclusa nei reati contestati ad Antonio Catania, compresa la tentata turbata libertà degli incanti per un immobile da aggiudicare all’asta. Atti trasmessi alla Corte d’Appello di Catanzaro

Tentata estorsione, da rifare il processo all’ex presidente della Camera di Commercio di Vibo

L’aggravante mafiosa sussiste e non andava esclusa. Di conseguenza non sono caduti in prescrizione i reati di tentata estorsione e tentata turbata libertà degli incanti contestati ad Antonio Catania, 54 anni, già presidente della Camera di Commercio di Vibo Valentia, ed al fratello Luca Catania, 47 anni, entrambi residenti a Vena di Ionadi. La seconda sezione penale della Cassazione ha infatti totalmente annullato la sentenza di secondo a carico degli imputati (emessa il 15 gennaio scorso) disponendo “la trasmissione degli atti alla Corte d’Appello di Catanzaro per il giudizio”. In primo grado il Tribunale collegiale di Vibo Valentia, in data 23 dicembre 2018, aveva condannato i fratelli Antonio e Luca Catania2 anni e 6 mesi ciascuno. La Corte d’Appello aveva invece emesso sentenza di prescrizione dei reati contestati, previa esclusione delle aggravanti mafiose. I reati di tentata turbata libertà degli incanti e tentata estorsione vedono quali parti offese i coniugi Anita Montoro e Vincenzo Marzano, minacciati affinché desistessero dalla partecipazione ad un’asta pubblica per l’aggiudicazione di due immobili nell’ambito di una procedura esecutiva a carico degli imputati”.

I motivi dell’accoglimento del ricorso

Antonio Catania

Secondo la Suprema Corte, la “motivazione offerta dalla Corte d’Appello in ordine all’esclusione della circostanza aggravante dell’uso del metodo mafioso va censurata sia dal punto di vista giuridico che sotto il profilo logico-ricostruttivo”. La Cassazione ricorda quindi che è stata la stessa Corte d’Appello di Catanzaro in sentenza a dare atto del fatto che, almeno in una occasione, gli imputati (in particolare Catania Antonio, ma la responsabilità è stata ritenuta a carico di entrambi, in concorso tra loro, avuto riguardo alla concatenazione logica e cronologica di tutte le condotte contestate) avevano apertamente evocato alle vittime la presenza della mafia dietro ai loro comportamenti. Ci si trova, dunque, finanche al di là della minaccia silente, già bastevole, a determinate condizioni, ad aggravare il reato attraverso il riconoscimento dell’uso del metodo mafioso”. Inoltre nella sentenza di primo grado, richiamata dalla Corte d’Appello, è stato affermato che il ricorrente Luca Catania, pure in altra occasione successiva, aveva assunto un “fare mafioso”, inteso ad evocare alle vittime la sua forza contrattuale illecita (“tanto vi assicuro che là dentro non c’entra nessuno”)”. È sempre la Cassazione a spiegare quindi nella sua decisione che nel caso in questione il riferimento alla “mafia” fatto da Catania alle vittime “non era affatto generico, in quanto collegato, nelle parole dell’agente, alla circostanza, tipica solo delle organizzazioni criminali organizzate, di poter controllare il territorio di riferimento, a tal punto da impedire a chicchessia, nella specie, la partecipazione all’asta pubblica di interesse processuale”. Inoltre la stessa sentenza della Corte d’Appello – come ricorda sempre la Cassazione – ha dato atto in altro passaggio della motivazione dei possibili collegamenti dei colpevoli agli ambienti mafiosi”. In ogni caso i giudici della Suprema Corte fanno notare che “per l’integrazione dell’aggravante dell’utilizzo del metodo mafioso, non occorre che l’autore appartenga o sia legato alla criminalità organizzata”, bastando la “volontà dell’autore del reato, in questo caso perpetrata in più occasioni, a dimostrazione della sua serietà sotto il profilo criminale”.

Le accuse e il processo d’appello da rifare

L’accusa, costruita dalla Dda di Catanzaro, trova la sua genesi nelle informative della Squadra Mobile di Vibo Valentia, nelle denunce delle parti offese e nei verbali di sommarie informazioni testimoniali rese dalle persone a conoscenza dei fatti. I fratelli Catania sono accusati di aver evocato il possibile intervento di soggetti legati alla criminalità organizzata locale, “sfruttando la vicinanza di alcuni componenti della famiglia Catania alla cosca Lo Bianco-Barba di Vibo Valentia”, al fine di porre in essere la minaccia di gravi ritorsioni in occasione della partecipazione delle vittime ad un’asta giudiziaria nella procedura di vendita all’incanto dell’immobile sito a Vibo in piazza d’Armi, già appartenuto a Francesco Catania e Maria Rosa Messina. In tale contesto, in occasione di un incontro – sostiene la pubblica accusa – avvenuto nell’esercizio commerciale Store sito a Vibo Valentia su corso Vittorio Emanuele III, Antonio Catania, alla presenza dei fratelli”, rivolgendosi alla donna intenzionata ad acquistare l’immobile all’asta, avrebbe quindi detto…: “A signora, innanzitutto non dovete avvicinarvi all’asta neanche se ve la regalano la casa.  E poi quando avete visto l’asta deserta non dovevate immaginarvi che c’era la mafia in mezzo!  Vi abbiamo voluto dire con modi garbati, altrimenti quella mattina vi prendevo dal corvettino e vi dicevo di andare da dove eravate venuti….
In primo grado, gli imputati erano stati assolti dall’accusa di danneggiamento di quattro auto a mezzo incendio.  Di mira era stata presa il 27 febbraio 2015 la Renault Clio Sw dei coniugi che intendevano acquistare l’immobile all’asta.  Le fiamme avevano finito per danneggiare anche altre tre auto parcheggiate vicino.
Antonio Catania, commerciante, nel maggio 2018 era divenuto il nuovo presidente della Camera di Commercio di Vibo Valentia, eletto dal Consiglio camerale dopo un periodo in cui è stato vice presidente reggente dell’ente camerale.  Dopo la condanna di primo grado si era però dimesso. Fra le cariche ricoperte, anche quella di vice presidente di Confcommercio provinciale, nonché membro del Comitato di presidenza interprovinciale di Confcommercio Calabria.  Al suo attivo anche il ruolo di referente per Confcommercio nazionale per il progetto “Piani nazionali per le città, riqualificazione dei centri urbani”.   Figurava pure quale membro della Commissione territoriale per l’immigrazione nell’ufficio territoriale di Governo (Prefettura) e membro della commissione di conciliazione dell’ufficio del Lavoro di Vibo.  

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